5.1 Sperimentare il non senso

17.02.2023

L'esposizione del soggetto all'insignificanza della vita porta con sé il germe del capovolgimento creativo. Fra le forme artistiche che consentono di alimentare la produzione di valori, solo la letteratura consente però di esperire la consistenza ontologica del linguaggio, in quanto campo di battaglia della parola scritta

(se non letto prima, si rimanda al post "5.0 Attrazione fatale")

Memore della lezione hegeliana, svuotata infine della sua finalità conservativa, Foucault mostra che l'esposizione al di fuori non genera solo movimento dissipativo, ma anche vuoto fecondo: condizione indispensabile è appunto quella di sperimentare il non senso sino al suo limite esistenziale.

Toccato l'estremo della deriva, il soggetto è costretto a farsi nuovamente creatore di valori onde sottrarsi all'indifferenza inibente del punto zero. L'alternativa, in questo caso, sarebbe infatti la rinuncia alla vita: un permanere nello stato vegetativo dei bisogni primari, o, nell'accezione più tragica, la cesura del suicidio.

"Tendere l'orecchio verso la voce argentata delle Sirene, rivoltarsi verso il volto proibito che già si è sottratto alla vista, non è soltanto infrangere la legge per affrontare la morte, è sentire improvvisamente crescere in sé il deserto nel quale, all'altra estremità (ma questa distanza senza misura è anche sottile quanto una linea), balena un linguaggio senza l'assegnazione di un soggetto, una legge senza Dio, un pronome personale senza personaggio, un volto senza espressione né occhi, un altro che è il medesimo...il di fuori vuoto dell'attrazione è forse identico a quello, ravvicinato, del doppio"

(ibidem, p. 128)

La deriva libera l'io dalle stratificazioni del fuori attraverso cui è venuto a sclerotizzarsi; lascia emergere un luogo in cui posizionarsi, senza farsi però soffocare dai suoi confini. Torna a fare e a subire la legge, senza che questa sia rivestita dell'incontestabile sacralità dell'autorità sovrana. Solo ora il soggetto è propriamente in grado di trasgredire, perché può muoversi in un fuori sconosciuto agli stessi creatori dello spazio controllato.

La possibilità di trasgredire il discorso stratificato è suggerita a Foucault dai suoi studi iniziali sull'insensatezza, sugli usi sregolati del linguaggio, sui peccati di parola, che storicamente hanno portato a un'identificazione del soggetto parlante "anomico" col folle.

"La follia è il linguaggio escluso: quello che contro il codice della lingua pronuncia parole senza senso (gli "insensati", gli "imbecilli", i "dementi"), o quello che pronuncia parole sacralizzate (i "violenti", i "furiosi"), o quello che ancora fa passare significati interdetti (i "libertini", i "testardi")"

(M. Foucault, "La storia della follia", Rizzoli, Milano 1992, p.480)

Analizzando questa ricca casistica, il filosofo di Poitiers scopre che il delirio della follia si congiunge a una specifica esperienza letteraria, nella quale si apre lo spazio del non senso, in cui il linguaggio manifesta il fatto di rimandare solo a se stesso. In una società che spinge costantemente il soggetto a eludere la domanda sul senso, rendendolo succube dei capricci del gusto, la letteratura resta l'unico luogo in grado di assumersi il lascito dell'insensatezza. A essa, infatti, è affidato il compito non di esprimere una pienezza, ma di far parlare il vuoto, quel fondo di insensatezza cui rimanda il linguaggio.

Attingendo alle potenze del non senso, al vuoto di un linguaggio ormai impossibilitato a uscire da se stesso, l'opera può darsi solo come assenza di opera. Qui la parola non dice altro che la sua lingua, senza rimandare a ulteriori significati. L'aver spezzato la corrispondenza che va dal percepito al detto, sostituendola con l'ammissione per cui il dire rimanda solo al dire, evidenzia non tanto il fine di trasmissione di una comunicazione attraverso il linguaggio, quanto l'assegnazione di ordini e posizioni all'interno del discorso. Emerge dunque la funzione normativa del linguaggio incentrata sulla sua unità elementare, ossia la parola d'ordine:

"chiamiamo parola d'ordine non una categoria particolare di enunciati espliciti (ad esempio, all'imperativo), ma il rapporto di ogni parola o di ogni enunciato con dei presupposti impliciti, vale a dire con degli atti di parola che si compiono nell'enunciato, e solo in lui"

(Deleuze-Guattari, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Minuit, Paris 1980, p.100)

Dal punto di vista del soggetto di enunciazione, l'uniformazione del sistema linguistico contemporaneo serve a coprire e contenere l'oscillazione del significato, appiattendo il concatenamento mimetico sul piano identitario; dal punto di vista del senso comune (inteso come facoltà di centralizzare le informazioni), ritroviamo invece il luogo di sviluppo dell'archiviazione e della trasmissione degli ordini sedimentati, assunti conseguentemente come comandi inconsci.

"Il linguaggio non è la vita, ma dà ordini alla vita; la vita non parla: ascolta e attende"

(G.Deleuze - F. Guattari, Mille plateaux, op. cit., p.96)

La messa in circolazione di agenti normati passa allora per la trasformazione di ogni individuo in un locutore-uditore: questo ruolo consente di adottare un comportamento linguistico compatibile con i modi di competenza che gli assegna la sua posizione particolare nella società. Distinguere fra classi dominanti e agenti della produzione - come fanno Deleuze e Guattari nella loro opera miliare - appare oggi riduttivo: non esiste propriamente un responsabile diretto, identificabile con una classe o élite sociale che opera - in modo consapevole - un processo di assoggettamento della società per mezzo del linguaggio; è il linguaggio stesso ad autoregolamentarsi in funzione dello svuotamento di senso che investe la produzione economica e che, dunque, configura menti "normate" (cosicché siano in grado di adattarsi alla situazione in essere).

Il merito di Foucault, a detta di Pierre Macherey (Foucault/Roussel/Foucault, in M. Foucault, Raymond Roussel, Gallimard, Paris 1992, p. XIV) è proprio quello di aver sottolineato come la letteratura, più che essere una forma di espressione estetica come tante altre, si offra oggi come "un terreno di esperienza, il luogo, lo spazio in cui avviene un'esperienza di pensiero, che coincide con l'essere del linguaggio". La letteratura, in quanto campo di battaglia della parola scritta, permette di esperire la consistenza ontologica del linguaggio sottratto alla funzione di mero medium, alimentando la sovranità autoreferenziale.

Dipende forse da questa intrinseca carica eversiva il reiterato tentativo di trasfigurare l'opera artistica in prodotto industriale e merce di consumo? (continua 5.2)