5.0 Attrazione fatale

16.02.2023

Con la scomparsa della legge e l'imporsi del suo simulacro apparentemente non prescrittivo, il cittadino della società del controllo è vinto da una forza che solo perpetua la gratuità del movimento, impedendo il ripiegamento cosciente

(se non letto prima, si rimanda al post "4.9 La falsa libertà dell'eterno ricominciare")

Più che per seduzione, la società del controllo opera per attrazione. L'obiettivo, suggerisce Foucault, non consiste nell'indurre il soggetto a scivolare lentamente verso un sé definito (come intende l'originaria forma latina del verbo, se-ducere, portare a sé), ma trarlo verso un fuori senza più punti di riferimento. Un'estorsione giocosa e anonima, tutt'al più destinata a rivelarsi un raggiro complice e privo di responsabili.

Il declino del soggetto classico inaugura di fatto un "discorso che appare senza conclusione e senza immagine, senza verità né teatro, senza prova, senza maschera, senza affermazione, libero da qualsiasi centro, liberato da ogni luogo originario e che costituisce il proprio spazio come il di fuori verso il quale, fuori del quale esso parla...come parola che resta sempre al di fuori di ciò che dice, questo discorso sarà un'avanzata incessante verso qualcosa la cui luce, assolutamente impalpabile, non ha mai ricevuto linguaggio" (ibidem, p. 118).

È però interessante notare come l'attrazione non sia solo un modalità d'essere tratti fuori da sé (e di sé), scordando la propria autoreferzialità soggettiva per consegnarsi inermi al flusso dei condizionamenti. Secondo la lettura che ne dà Foucault, ispirato dagli scritti di Maurice Blanchot, l'attrazione è anche un modo per provare, nella messa a nudo e nel vuoto, la presenza del di fuori. Avvertire il vuoto dell'esteriorità verso cui si è gettati, ma da cui pure ci si allontana, comporta - come necessario correlato - l'essere "negligenti": ritenere come cosa da nulla ciò che si sta facendo, il proprio passato, i propri vicini, qualunque cosa ci coinvolga sino a quel momento. In tale atteggiamento possiamo riconoscere addirittura una gratuità e un'ironia di matrice romantica, per cui la pienezza spirituale viene ricercata, come avrebbe detto Friedrich Schlegel, "nel trasferirsi arbitrariamente ora in questa, ora in quella sfera, come in un altro mondo", nel "rinunciare liberamente ora a questa, ora a quella parte del proprio essere, limitandosi del tutto in un'altra": del passato non rimangono che tracce ormai prive di valore.

La differenza sostanziale rispetto alla scuola romantica, tuttavia, è che di questo continuo peregrinare dello spirito si conserva solo l'esigenza del movimento costante, del non assumere una forma definita, svuotando lo streben esistenziale (in tedesco, la tensione verso l'assoluto) di tutta la sua originaria carica creativa, foriera di coscienza. Oggi non viene più avvertita alcuna possibilità, per quanto aleatoria, di raggiungere l'assoluto; il fluttuare da un oggetto all'altro, da una condizione esistenziale all'altra, propugna il solo piacere del soddisfacimento occasionale, fine a se stesso, del tutto scevro dalla possibilità di manifestare in sé il nostro noi estrinsecato.

"Essere negligente, essere attratto, è una maniera di manifestare e dissimulare la legge"

(ibidem, p. 121)

Che cosa intende qui, Foucault, per legge? È ciò che incombe sovranamente sulle città, sulle istituzioni, sui comportamenti e sui gesti; qualunque cosa si faccia e per quanto grandi siano il disordine e l'incuria, essa è ciò che ha già dispiegato la propria potenza, prima ancora di aver avuto la possibilità di rendersene conto. Molto spesso le libertà che possiamo prenderci non sono affatto capaci di interromperla; possiamo ben credere di staccarcene e di guardarne dall'esterno l'applicazione. Questa perpetua manifestazione, tuttavia, non illumina mai quanto viene detto, né ciò che vuole la legge:

"essa, più che il principio o la prescrizione interna dei comportamenti, è il di fuori che li avvolge e che li fa sfuggire, in questo modo, ad ogni forma di interiorità...rivolta, all'insaputa di tutti, la loro singolarità nella grigia monotonia dell'universale ed apre intorno a loro uno spazio di malessere, di insoddisfazione, di zelo moltiplicato"

(ibidem, p. 122)

Se queste osservazioni sembrano dipendere ancora molto da una visione "disciplinare" della società, non sono da sottovalutare nella loro possibile carica eversiva verso l'attualità. La società del controllo, sostituitasi quasi completamente al modello disciplinare, non ha più bisogno della legge "oggettiva" per condizionare la volontà dell'uomo. Anche perché, come osserva Foucault, la legge, imponendo e vietando, rende visibili le stesse possibilità di trasgressione dei suoi precetti. Il controllo si esercita invece dicendo: "siate liberi di fare ciò che volete: sappiate, però, che qualcuno o qualcosa vi tiene sempre d'occhio".

Di fatto, la libertà del soggetto non ha più un luogo definito ove riconoscere i limiti del proprio condizionamento sociale, dunque nei confronti del quale assumere quei valori (condivisibili o meno) che ne articolano la personalità. È abbandonato a se stesso e, di conseguenza, reso facile preda della strategia estetizzante fondata sull'attrazione: sfruttando espressioni care a Deleuze, potremmo dire che le forme di controllo sono "modulazioni", opposte agli "stampi" della società disciplinare.

Viene dunque a mancare quel momento di rimbalzo per cui, "un di fuori scava il luogo stesso dove l'interiorità ha l'abitudine di trovare il suo ritiro e la possibilità del suo ripiegamento" (ibidem, p. 128). Eliminando la visibilità della legge, la sua "oggettualità" ancor prima della sua "oggettività", ma non il suo potere di condizionamento, il controllo toglie al soggetto la possibilità di configurarsi in modo alternativo, o radicalmente trasgressivo, a quanto dato. Per di più, aggiunge la larvata minaccia di una perenne sorveglianza, che comporta di non avere più uno spazio di ritiro che ci consenta di prendere distanza dal pubblico e ritirarci nella nostra coscienza. Dove trovare mai una via d'uscita? (continua 5.1).