5.3 Riscrivere la vita, o della genetica delle lettere

20.02.2023

Attraverso il procedimento creativo adottato dallo scrittore Raymond Roussel, che scompone il linguaggio nei suoi elementi ultimi per riprodurne la combinatoria, emerge lo stesso schema riduttivo che l'intelligenza artificiale impiega per padroneggiare l'aleatorio, senza accorgersi tuttavia delle trasgressioni già in atto

(se non letto prima, si rimanda al post "5.2 La verità del linguaggio")

Proprio come un viso di cartapesta calcato sopra il volto, la parola nasconde ciò che produce il suo sdoppiamento dalla cosa, sebbene lo sdoppiamento della parola operi secondo le stesse modalità che articolano lo sdoppiamento della cosa, la maschera. "Maschera" e "spazio tropologico", stando allo studio sviluppato Foucault, sono cioè correlati dal medesimo procedimento che struttura il linguaggio: quest'ultimo tesse i fili del discorso secondo un doppio movimento di stesura e arretramento, di cui l'opera di Raymond Roussel aiuta a mostrare la piramide di regolarità ricorrendo all'uso esemplificativo di una frase "eponima": una frase che trasferisce su un'altra i propri nomi, senza tuttavia garantirne la piena coincidenza.   

Quando osserviamo il linguaggio "di traverso", non prestando semplicemente ascolto al significato delle parole, finiamo dunque per riconoscere fra le loro pieghe un movimento attraverso il quale viene a delinearsi uno spazio dubbio, in cui le parole, e quel che dicono, girano reciprocamente attorno, senza mai raggiungere la coincidenza. Nell'analizzare gli scritti di Roussel, in cui la letteratura cessa di comunicare la finzione dell'arte per arrivare a esibirla sotto gli occhi del lettore/spettatore, l'attenzione si sposta inevitabilmente da ciò che il testo dice a ciò che il testo "fa". Foucault lo mette ben in chiaro.

"Passando dalla frase alla controfrase, siamo passati dallo spettacolo alla scena, dalla parola-cosa alla parola-replica...come se la funzione di questo linguaggio sdoppiato fosse quella di insinuarsi nel minuscolo intervallo che separa un'imitazione da ciò che essa stessa imita, per suscitare uno strappo e sdoppiarlo in tutto il suo spessore"

(ibidem, p. 51)

Esempio classico: "Le lettres du blanc sur le bandes du vieux billard formaient un incompréhensible assemblage" (le lettere del gesso sulle sponde del vecchio biliardo formavano un assemblaggio incomprensibile) diviene "Le lettres du blanc sur le bandes du vieux pillard..." (le lettere - intese come missive - dell'(uomo) bianco sulle bande (armate) del vecchio predone).

"Così trattato, il metagramma (il tipo particolare di cambio che consiste nel passaggio da una parola a un'altra, di uguale lunghezza, attraverso passi intermedi in cui ogni nuova parola è generata cambiando una sola lettera o sillaba alla volta e, preferibilmente, in ordine progressivo, ndr) si dispone sul versante dell'uso ludico - dunque disinnescato, e situato ai limiti della dimensione quotidiana, sepolta e silenziosamente famigliare del linguaggio"

(ibidem, p. 52)

La frase finale di un blocco descrittivo, utilizzata per denunciare lo "strappo" nella riproduzione della cosa, riproduce di fatto la frase iniziale, ma evidenziandone uno "strappo a distanza" che duplica nella nuova forma lo scivolamento del senso: la ripetizione è cercata e trovata da Roussel attraverso un'infima differenza che, "paradossalmente", lascia risuonare l'identità. Là dove la semplice ripetizione pare già condannata a insinuare un'impercettibile alterazione sul limite del medesimo, innescare la totale (e supposta) omologazione delle differenze risulta semplicemente impossibile. Ogni volta che comunichiamo una parola o un concetto, crediamo che l'interlocutore abbia capito, ma il fatto che risponda con un gesto o un'azione conforme alle nostre aspettative non significa ancora che il significato delle nostre parole risuoni in lui o lei nel medesimo modo.

La creazione del senso, isolata nei giochi chiusi del linguaggio sdoppiante, evidenzia solo il carattere aleatorio delle pratiche di senso: se il gesto, ancor prima della parola, diviene significativo nella pratica di una medesima esperienza, implica d'altro canto la contemporaneità e la condivisione di questa stessa esperienza. Pur nel mantenimento delle stessa cifra significativa, il semplice mutare delle condizioni spazio-temporali testimonia di per sé l'inarrestabile avanzare dell'alterità nelle pieghe del medesimo: uno scardinamento della regolarità che porta necessariamente alle ambigue derogazioni del senso. Diviene ora chiaro perché il controllo possa risultare efficace solo nella misura in cui omologa, nella misura in cui stabilizza (ma dovremmo più correttamente dire "riduce") le possibilità di esperienza. Come luogo di formazione dell'essere, il linguaggio esercita contemporaneamente possibilità calcolabili e ludiche, tali per cui risulta impossibile disporre in toto del linguaggio: nelle sue ripetizioni e nei suoi sdoppiamenti sembra in realtà prendersi gioco del soggetto parlante.

È tuttavia possibile raggiungere un punto in cui persino la più affinata tecnica di controllo, il più sottile procedimento, non riesce più a risalire i percorsi tracciati attraverso la linearità del testo. Potremmo chiamare questa inaspettata forma di ribellione semantica "effetto rima": un richiamo all'identità nella congiunzione di differenze ormai inafferrabili. Senza dubbio Raymond Roussel ha cercato di inaugurare e padroneggiare un tipo di scrittura totalmente automatica, anticipando di oltre un secolo le tecniche legate all'intelligenza artificiale: una scrittura, di fatto, che controlla tutti i giochi impercettibili e frammentari dell'aleatorio, che colma tutti gli interstizi da cui questo potrebbe sfuggire, che cancella ogni possibile deviazione, che esorcizza il non-essere circolante quando noi parliamo, che organizza uno spazio pieno in cui le parole non sono mai minacciate se rimangono sotto l'obbedienza del loro Principio. La sua opera, per quanto scaturita dal Surrealismo, esibisce un linguaggio che rifiuta il sonno, il sogno, la sorpresa e in generale l'evento, e che intende lanciare una sfida cruciale: disporre di termini presenti quando si parla, ma inesistenti prima di parlare.

"Nel linguaggio la sola vera alea è quella non legata agli incontri interni, ma all'origine. Evento puro che è allo stesso tempo interno ed esterno al linguaggio, poiché ne rappresenta il limite iniziale...una soppressione della casualità letteraria, delle sue scappatoie e traversie, volta a far apparire le linea retta di una casualità provvidenziale, che coincide con l'emergere del linguaggio"

(Foucault, ibidem, p. 66)

Ancora una volta, Foucault è qui alla ricerca di ciò che possa garantire all'uomo, o meglio alla vita, una via di uscita dal tentativo della ragione di padroneggiare l'alea scomponendola sino alle sue particelle ultime: le lettere. Se il numero delle possibili variazioni di una parola coincide in generale con quello delle definizioni offerte dal vocabolario, o dall'uso quotidiano, significa che trovare coppie induttrici, o matrici, in base alle quali il discorso possa articolarsi, è sempre possibile. Nel momento in cui la frase eponima scompare, però, le forme di dispersione supportate da una qualsiasi frase divengono infinite: da ogni sillaba sembrano scaturire e proliferare possibili vie di fuga. Nella frase "J'ai du bon tabac", ad esempio, sono potenzialmente contenute "fughe in rima" quali "geai", "tue", "péan", "jette", "Ubu", e via dicendo.

La libertà dipende infine da un semplice gioco di assonanze? (continua 5.4)