4.8 I fronti opposti della battaglia audiovisiva

13.02.2023

Decostruendo le categorie identitarie è possibile riconoscere non solo il rapporto artefatto fra rappresentazione e referenza, ma anche l'indifferenza del supporto su cui le categorie sono applicate. Generalizzando la corporeità, la realtà del simulacro rischia però di chiudere la vita nella circolarità del non-senso

(se non letto prima, si rimanda al post "4.7 Farfuglia, il nemico ti ascolta!")

La battaglia audiovisiva non è ancora vinta. E, probabilmente, mai lo sarà. A chiarirlo, è una volta ancora Gilles Deleuze.

"Vedere e parlare sono sapere, ma non si vede ciò di cui si parla e non si parla di ciò che si vede"; "ciò che [Foucault] trova in Roussel è la battaglia audiovisiva, la doppia cattura, il rumore delle parole che conquistano il visibile, il furore delle cose che conquistano l'enunciabile"

(G. Deleuze, Foucault, op. cit., p. 113)

Di fronte a quest'irriducibile frattura, irrimediabilmente perde valore qualsiasi ricerca che miri a "dare un senso" - un senso universale e oggettivamente veritiero - agli eventi riguardanti il soggetto. In quanto "diveniente", quest'ultimo non può più essere definito attraverso le rassicuranti categorie della sostanza identitaria, ma appare altresì un "percorso": la parola ultima pronunciata sull'uomo finisce per coincidere con la descrizione dei suoi processi, dei meccanismi di scrittura che ne determinano lo statuto mortale, illusorio e metamorfico. Conseguentemente la coincidenza della designazione e del disegno, ovvero dell'immagine, risulta un "gioco calligrafico" che continua ad aggirarsi su uno "sfondo d'insieme", lo spazio attraverso cui viene a costituirsi e riconoscersi il 'luogo comune' del linguaggio. Sono solo l'assenza di vuoto e la costante presentificazione del continuo a garantire le corrispondenze del controllo, la cui funzione appare quella di creare un sistema di rimandi volto alla stabilizzazione dello spazio, così come alla sua riduzione a un unico piano dimensionale.

La strategia utilizzata dall'Occidente per attuare queste forme di comunicazione fa perno su due principi basilari: la separazione fra rappresentazione plastica e referenza linguistica, ma anche l'equivalenza tra fatto della somiglianza e affermazione di un legame rappresentativo. Da una parte, infatti, il linguaggio fa vedere mediante la somiglianza, ma parla attraverso la differenza, in modo tale che segno verbale e rappresentazione visiva non siano mai dati contemporaneamente. Dall'altra, però, l'affermazione può venir usata come modo di intensificazione della somiglianza. È stato proprio Magritte a dimostrare apertamente che "una parola può prendere il posto di un oggetto nella realtà. Un'immagine può prendere il posto di una parola nella proposizione" (M. Foucault, Questo non è una pipa, op. cit., p. 55), soprattutto nell'opera pittorica, dove le parole sono della stessa sostanza delle immagini ed entrambe sono racchiuse in un "quadro" unico.

Comincia ad apparire più evidente il modo in cui le categorie identitarie scandiscano il pensiero dell'uomo alfabetizzato: tali categorie dipendono dal tipo di supporto su cui si esercitano e da cui, quindi, prendono forma. Lo spazio della rappresentazione diviene perciò una superficie "in-differente", su cui parole o immagini possono alternarsi, proprio perché sotto di esse non c'è nulla. Le lettere comunicano soltanto attraverso il vuoto, mediante il non-luogo celato sotto la solidità del marmo, della carta o della tela. È questo un colpo mortale alla nozione classica di rappresentazione, fondata sulla metafisica dualistica del "come se": l'alterità viene a coincidere con il medesimo, pur nella diversità dei supporti di manifestazione. La domanda da sollevare diviene allora: "che cosa 'rappresenta' che cosa?".

 "Mentre l'esattezza dell'immagine funzionava come un dito indice rivolto verso un modello, verso un "padrone assoluto", unico ed esterno, la serie delle similitudini (e basta che ce ne siano due perché già esista una serie) abolisce questa monarchia al tempo stesso reale e ideale"

(M. Foucault, ibidem, p. 65)

A differenza della singola similitudine, il similare si sviluppa in serie che non hanno inizio né fine, che sono percorribili in un senso "e/o" nell'altro, che non obbediscono ad alcuna gerarchia, ma si propagano di piccole differenze in piccole differenze: la propagazione del similare non nega semplicemente l'asserzione di realtà presupposta dalla similitudine, ma afferma il simulacro, afferma l'elemento nella rete del similare. Analizzando il quadro di Magritte Ceci n'est pas une pipe, Foucault sostiene che sia possibile pronunciare ben sette discorsi su un unico enunciato, quello che per l'appunto dà il titolo al quadro. Questo perché la similitudine è ormai rinviata a se stessa, spiegata a partire solo da sé e piegata su di sé.

"Essa inaugura un gioco di transfert che corrono, proliferano, si propagano, si rispondono nel piano del quadro senza nulla affermare né rappresentare" (ibidem, p. 73). Qui il filosofo di Poitiers parla solo di quadro, ma è chiaro che l'estensione della similitudine, nel collasso delle ramificazioni del pensiero, inglobi la semanticità della letteratura, dell'arte, della comunicazione in generale. La similitudine "purificata" non può più traboccare all'esterno del quadro: siamo chiusi nella circolarità dell'origine. Ecco allora come essa, insieme all'analogia, divenga un'arma sottile per contrastare la tendenza a uniformare la differenza ricorrendo alle stesse risorse proprie del controllo:

- anziché mescolare le identità, la similitudine ha il potere di romperle (si può garantire l'analogia delle immagini, sospendendo però ogni possibilità di affermazione. Si veda l'esempio del "drag" portato sopra);

- la similitudine può mescolare l'immagine fittizia con ciò che questa stessa immagine riproduce, in modo tale che si indichi il contrario di quanto si voglia dire (si afferma cioè la piena coincidenza fra modello e realtà. Si veda la strategia di omologazione della tartaruga senegalese);

- l'analogia può essere impiegata in modo tale che neghi la rappresentazione di sé, cancellando la dualità e la distanza (focalizzazione puntuale dell'attenzione nel continuum temporale);

L'elenco di questi "trabocchetti", di cui la pittura di Magritte offre una feconda rassegna, potrebbe essere arricchito ulteriormente dalle tante possibilità di creare nuovi paradossi audiovisivi, utilizzando criteri rappresentativi tipici del realismo figurativo più elementare: quel che conta, tuttavia, è che le similitudini possano slittare su tutti i piani individuabili, senza che nessun referente sia mai in grado di fissarle. Sono traslazioni senza punto di partenza né di supporto. Siamo al definitivo collasso del concetto di verità? (continua 4.9)