L'uomo dopo Michel Foucault

11.04.2019

Dall'enunciato all'uomo. Dopo aver messo fuorigioco il soggetto, con un colpo di coda gli studi di Michel Foucault spingono a tornare al punto problematizzato inizialmente dal filosofo francese: l'uomo in quanto prodotto delle sue stesse pratiche di scrittura. Siamo ancora in grado di leggerle e intenderle?

Paradosso e negazione della norma, per il maître di Poitiers, sono modalità interdipendenti per dimostrare in che modo gli oggetti del nostro sapere si costituiscano attraverso una rete di regolarità, inevitabilmente destinate a travalicare il processo di significazione operato dal singolo. Prima della costituzione del soggetto sono in atto forme di controllo e di autoregolamentazione, in grado di condizionare le possibilità di visione e di lettura del reale. La consapevolezza del sé ruota allora attorno a un rapporto tanto specifico, quanto occasionale, che viene a definirsi fra ordine e spazialità, in virtù del quale è possibile tracciare linee vettoriali di significazione, operanti tagli e inconsapevoli esclusioni nella sfera del senso.

L'affermazione di una norma non ha nulla di assoluto, non è giustificata da alcun fondamento metafisico: ha solo un valore funzionale e ammanta i rapporti di forza col velo della convenienza. La sua trasgressione diviene allora inevitabile quando l'Altro rifiutato torna a reclamare la propria verità e nel momento in cui il Medesimo non è più in grado di rispondere alle aspettative del momento. Per ovviare agli effetti di instabilità generati dalla dimensione polemica che pervade l'istituzione del significato, la logica inerente la materialità degli enunciati porta a spazializzarne i meccanismi di formazione attraverso supporti di scrittura facilmente controllabili, onde acquisire una visibilità sempre maggiore nei confronti dell'alea che altera il dato.

Conquistare la regia

La logica si scopre in realtà logistica, cioè una strategia di difesa e di sussunzione dell'Altro, dove cruciale nella padronanza del sé risulta l'individuazione del luogo (virtuale) di regia del reale. La ricerca di questo luogo, vitale per il soggetto che anela sottrarsi alle spire del non senso, si incarna nella volontà ossessiva di vedere persino l'invisibile: padroneggiare l'invisibile, l'alea, ovvero l'Altro, significa stabilizzare la vita in una serie definita e calcolabile di configurazioni, la cui iterabilità presiede alla possibilità stessa di comunicazione e comprensione del senso.

Ma dal momento che il visibile risulta sempre prospettico, il problema di una visibilità a tutto tondo non solo porta in luce le irriducibili discrasie presenti fra il piano della visibilità e quello dell'enunciabilità ("ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice": è impossibile descrivere ciò che si vede e dunque padroneggiarlo in quanto oggetto di sapere), ma mette anche in crisi il principio panoptico della teoretica occidentale: se i punti focali delle prospettive non possono che rimanere "al di là", "oltre" l'apertura stessa del visibile, la distinzione fra chi ha la possibilità di vedere (occupando un punto privilegiato dello spazio) e chi viene invece visto, genera squilibri di potere, contrari alla filosofia equiparante del controllo.

Occorre fare un passo indietro: dal potere sul controllo si passa cioè al controllo sul potere attraverso la sostituzione del principio panoptico con quello synoptico, in virtù del quale le prospettive deflagrano dal proprio punto di irraggiamento e si sovrappongono nell'illusorio tentativo di colmare i buchi neri della conoscenza. Questa perenne mobilità della soglia di visione, che non può mai trasformarsi in un limite ideale dai margini definiti, innesta però un motivo di discontinuità irriducibile nella dialettica della conoscenza, le cui conseguenze più radicali investono innanzitutto le sfere temporale e spaziale.

Il tempo frazionato

Da sempre luogo di accumulo e di rielaborazione del sapere, fondata sui principi della linearità e della successione, la temporalità presenta un inaccettabile carattere "aperto" (in fieri), che comporta la graduale modificazione della personalità di un soggetto. Frazionandone la continuità evolutiva, diviene molto più semplice padroneggiare la formazione dell'identità: ordinando e omologando le occasioni di interazione col reale è così possibile comprendere quale identità si verrà a sviluppare in un determinato contesto, prevederne le azioni e le reazioni, orientarne i gusti, modificandola con altri schemi identitari a seconda delle esigenze imposte dal controllo.

Privato della sua personalità (ma non della sua soggettività), l'individuo viene ridotto a mero supporto di identità indotte e variabili. Il corpo diviene teatro senza regia di fugaci figurazioni: su di esso si scrive e si cancella quasi fosse una semplice lavagna, senza rendersi conto che ciascuna identità vi sedimenta creando - nel tempo della durata e non solamente dell'occasione - stratificazioni ordinabili nei canali di un vero e proprio "archivio organico". Il corpo, in quanto medesimo supporto di identità transeunti, può autoregolarsi indipendentemente dal controllo "secondo" gestito dall'uomo nella dimensione del potere e sulle potenzialità della propria sessualizzazione biologica.

Reazioni di difesa

L'arma del controllo si rivela a doppio taglio: laddove si pensava di poter condizionare le configurazioni del soggetto attraverso la manipolazione degli enunciati, al contrario ne sono state meglio illuminate le condizioni di possibilità. Ciò consente all'individuo di organizzarsi in quanto dividuo, ovvero di sfruttare la moltiplicazione del proprio sé, generando di riflesso un nucleo di rifiuto alle richieste identitarie del controllo, un polo di resistenza o di alterità opposto all'omologazione del Medesimo. Si sta al gioco, poiché conoscere le innumerevoli sfaccettature delle proprie identità significa al contempo poter prendere distanza dalle stesse. La sintesi operata dall'archivio consente infatti di generare un doppio per differenza (o negazione), alimentando come forma di difesa e occultamento un gioco di simulazioni.

La logica binaria della rappresentazione, intesa come presentificazione e riduzione del doppio nell'uno, si dissolve nei simulacri della somiglianza, che ostenta il terzo come uno del doppio: è questo il nuovo elemento di congiuntura fra segno "e" designatum, che non solo garantisce alla personalità di sfuggire alle maglie del controllo, ma anche di moltiplicarsi nell'esperienza dell'Altro. Si afferma per negare, senza che sia possibile distinguere una volta per tutte gli estremi di questa stessa somiglianza: soglia di indecidibilità fra una provenienza rifiutata ed una destinazione non ancora definita, che impedisce alla sintesi della personalità di chiudersi su se stessa. È l'inaugurazione di una logica ludica, in grado di esaltare l'alea propria dell'organico, inconsapevolmente liberata dalla riduzione del corpo all'identità di un controllo eterodiretto. Non c'è qui la pretesa conoscitiva rinascimentale di trovare somiglianze e analogie in ogni forma dell'esistente, in vista dell'assoluto, quanto piuttosto di mobilitare le risorse nomadiche dell'identità in funzione di una realtà mobile, senza però negare il destino biologico.

Verità artificiali

La tradizionale scrittura dei corpi entra in crisi: il vecchio modello a schemi biunivoci, fondato sui diretti legami fra matrici e segni, collassa per effetto d'assonanza. Tutto si somiglia e si richiama, ma nulla può dire la verità dell'origine. La verità è una costruzione "artificiale", un artefatto della retorica che ha validità solo in funzione di specifiche coordinate spazio-temporali. L'uomo è cioè il prodotto di una "versificazione ontologica" che dischiude spazi senza luoghi, tempi senza cronologie, trasgressioni ripiegate su se stesse ove l'Altro abita nel Medesimo.

Ma è proprio qui che il maître francese ci lascia in panne. Lo studio del controllo, divenuto in una seconda fase del pensiero foucaultiano critica delle "forme" di controllo, deraglia nel rifiuto della risposta.

Conta svicolarsi, sciogliersi dalla presa dell'Universale in quanto strumento di omologazione della Differenza. Solo in questo modo è infatti possibile inaugurare spazi di movimento in cui il soggetto è libero di autofondarsi. Ma l'autofondazione è un'utopia. Il problema di fondo consiste nel fatto che la configurazione del soggetto avviene comunque per negazione di una realtà già data. Il confronto - seppur assunto nella dimensione polemica dello scontro - non travalica cioè il muro del Medesimo, ma lo smussa piegandolo ai propri desideri, rivestendolo di simulacri illusori.

Scomparsa dell'identità 

Più che a un atto di liberazione, siamo qui di fronte a un atto di (non)responsabilità. Ciò che realmente importa è negare ciò che si è. Di conseguenza le categorie di riferimento che, nel bene o nel male, hanno contribuito a definire il soggetto della modernità, vengono assunte come base di diffrazione della soggettività. Lo scopo della resistenza è una sovversione della "macrofisica" del potere attraverso la "microfisica" dei confronti locali di forze che la determina. Si deve gettare sabbia nell'ingranaggio, recita la massima di Foucault. Dissoluzione del soggetto classico, fine di una storia lineare ed evolutiva del progresso, abbandono dell'illusione che il senso vissuto possa essere formativo, in senso strutturale, della realtà sociale: sono appunto le linee programmatiche che il filosofo francese aveva delineato nell'intervista a Paolo Caruso risalente al 1969.

Ogni soggetto può costruirsi una propria Weltanschaung, o morale che si voglia, giustificabile esattamente sullo stesso piano di quanto possa fare l'altro. La politica totale, perché senz'etica, ha un carattere nichilista. In termini più tradizionali, l'affermazione di una morale "libera", non soggetta al controllo, coincide con la distruzione dell'etica. Quest'ultima, infatti, necessita di un sostrato di comune condivisione per poter generare l'ordine del sociale, che al di là della critica del secondo Foucault e dei suoi epigoni, non è riconducibile esclusivamente al controllo-potere sui soggetti, ma risulta anche e soprattutto garanzia di esistenza dei soggetti stessi, del loro vivere civile e del loro reciproco comprendersi.

Corpi sovrascritti

Fuori dalla società, o per esteso dall'etica, l'uomo torna a essere bestia o dio. Ma lungi dal possedere ancora la perfezione dell'essere, all'uomo di oggi non resta in eredità che il lato più anarchico e vulnerabile del proprio essere: una moderna forma di dissidenza che manifesta soprattutto una mancanza politica. Gli ultimi scritti di Foucault lasceranno però intravedere la necessità di conferire alla propria esistenza una struttura forte e unitaria: la politica dovrà garantire un ordine sociale che renda possibile l'applicabilità generale delle regole d'etica. Ma, in fondo, questa era un'esigenza già presente in nuce nella prima fase del pensiero foucaultiano, gradualmente oscurata dagli studi degli anni '70. Le stesse tecniche di scrittura sperimentate da Raymond Roussel nel tentativo di sottrarre il soggetto a una lettura univoca, non riuscirebbero nel loro intento se mancasse una procedura di autoverifica (o controllo) che, correndo negli interspazi aperti, unisca parentesi e frammenti attraverso il medesimo filo rosso.

Analogamente la congiuntura che ha trasformato il testo classico nell'ipertesto post-moderno non è unidirezionalmente volta all'aperto (generando giochi di richiami all'infinito), ma consente pure di tornare all'ipotetico punto d'inizio (che proprio per questo non deve essere inteso metafisicamente come "origine"), in virtù del quale sia garantita la leggibilità del senso "in opera". A questo punto l'archivio descritto da Foucault viene a ricoprire un valore assai più decisivo di quanto lo stesso filosofo francese fosse riuscito a immaginare.

I manoscritti non bruciano mai

L'archivio non è solo luogo di resistenza, ma boa d'attracco, sponda cui aggrapparsi per non essere inghiottiti dalla fluidità dell'essere liberata da Foucault. È base di sedimentazione, in cui è possibile modificare l'ordine del dato, senza tuttavia rinunciare alla struttura che ne ha consentito il deposito. Foucault ci ha aiutato a violare la porta di un archivio segreto alla stessa società che lo ha generato, in cui solo l'entrata e l'accumulo erano consentiti, ma non il riflusso. La sua chiave, il potere, è stata trasmessa da un soggetto all'altro senza che nessuno potesse mai supporre quale fosse il segreto da essa celato.

Il filosofo francese ha però taciuto (volontariamente o meno è compito degli storiografi stabilirlo) circa il rischio di far crollare l'intera impalcatura, nel momento in cui il disvelamento dell'archivio offre l'opportunità di usufruirne a nostro piacimento. Ma è proprio a partire dall'impalcatura del controllo che sarà possibile scoprire come la sostituibilità delle identità, pur comportando la sottrazione dalle tecniche di assoggettamento, non mini di fatto la possibilità di organizzare una personalità "aperta", né esponga al pericolo di lasciare il suo monopolio all'unico possessore della chiave. È per questo che urge tornare a garantire una medesima forma di leggibilità per le differenti forme di linguaggio oggi elaborate.
Alberto Caspani