5.5 Se la grammatica si fa arte combinatoria

22.02.2023

Nel raffronto fra testi narrativi e poetici è possibile tener traccia del procedimento logico-cognitivo, prendendo consapevolezza della duplicità creativa e inibente del controllo: chi ben scrive, ben pensa e, soprattutto, acquisisce la capacità di smascherare la retorica della verità. Ma esiste un soggetto responsabile del discorso?

(se non letto prima, si rimanda al post "5.4 Assonanza, arma a doppio taglio")

Sperimentare il controllo non significa trovarsi inevitabilmente confinati in un mondo distopico. Come ogni manifestazione della vita, anch'esso è partecipe di una forza creativa, poietica (da poiesis, in greco antico, ndr), resa ancor più evidente dal procedimento operativo che porta alla realizzazione dei testi narrativi rispetto a quelli di genere poetico. La poesia, infatti, esibisce una struttura espressiva e comunicativa molto più libera della narrativa: i legami tra versi generano possibilità combinatorie praticamente infinite, perché sottratti ai vincoli logici della prosa, del "senso compiuto", dove la cronologia temporale e la tracciabilità dell'azione del soggetto funzionano come paletti di sicurezza, come garanti di significatività.

Tempo e spazio limitano - o quanto meno "tengono sotto controllo" - le possibilità combinatorie: trasgredirle rischia solo di generare errori in serie. Eccezion fatta per particolari generi sperimentali, quali la fantascienza, un personaggio, ad esempio, non può compiere un'azione dopo o prima rispetto a un altro, né l'azione può essere compiuta da un personaggio che muta di continuo sesso, se il suo sesso è stato definito in partenza. I vincoli della narrazione in prosa sono sicuramente molto più evidenti di quelli della poesia, rendendo complesso e delicato il lavoro preparatorio di concatenamento logico-causale. Un buon "giallo" si misura appunto dalla sua capacità di coerenza interna.

Tale costruzione, però, "tende anche a banalizzarlo di più - puntualizza Nanni Balestrini (Riflessioni sulla scrittura elettronica, intervista di Mediamente del 16 dicembre 1996) - perché dai molti esperimenti che si sono fatti in questo senso si è visto che le cose funzionano in modo più rapido e più semplice proprio quando ci sono testi base, piccole favole, storie con pochi personaggi, con poche situazioni. Tuttavia, a mio avviso, quello è un modo che richiede un lavoro enorme e può dare risultati molto scarsi: il fatto di volere procedere su strutture un po' tradizionali. Credo che sia molto più efficace, ed è anche molto più interessante, ottenere risultati inaspettati, conseguenza dell'operare su strutture narrative più libere quali quelle liriche o di monologo interiore, istanze che sono, tutte, risultato della narrativa di questo secolo, dove simili legami e costrizioni non generano più errori".

In una storia pensata è lecito permettersi salti o divagazioni molto più articolati di quanto avvenga invece in una storia raccontata, soprattutto se questo racconto è trattato in terza persona. Lo stesso avviene quando si ha a che fare con un'esperienza onirica: quando viene portata in scena attraverso il testo, è necessario generare uno "stile" peculiare per farla accettare al lettore/uditore, altrimenti il risultato somiglia solo a un'accozzaglia di dettagli senza senso. Occorre affidarsi a un rimescolamento "apparentemente" casuale, ma operato attraverso una macchina combinatoria ben rodata. Il vero problema, semmai, è sapere dove si voglia andare a parare, a quale messaggio o conclusione portare, in sostanza aver già in mente che tipo di risultato si intenda ottenere; senza queste precauzioni, l'opera rischia di apparire poc'altro che un divertimento infantile. Il testo narrativo, quando è frutto di creazione personale (cioé di un soggetto-logico), deve sempre permettere il riconoscimento dei procedimenti adottati e seguiti, affinché possa risultare giustificabile nelle sue scelte.

Gli effetti di "dissonanza linguistica", evidenziati da Foucault attraverso Raymond Roussel, producono invece incrinature non ricomponibili in questo apparente muro di certezze: servono a mostrare come sia impossibile attuare una perfetta produzione di discorsi in termini di verità analitica, perché la coerenza non è mai in grado di separare nettamente la verità dalla menzogna, i nomi diversi da un medesimo "oggetto".

Se la concinnitas fu per Nietzsche una soluzione stilistica adottata per minare la nozione classica di soggettività, per la società del controllo diviene paradossalmente la forma più sviluppata ed efficace di comunicazione: sulla scorta degli studi foucaultiani possiamo infatti riconoscere nel termine latino - metafora musicale cui la stessa Babette Babich ricorre per meglio spiegare il modo di scrittura nietzschiano (B. Babich, Nietzsche e la scienza, Raffaello Cortina editore, Milano 1996, p. 22) - la struttura retorica ideale grazie a cui creare un'affinità fra il destinatario/lettore di messaggi e la loro matrice significativa.

Retoricamente contrapposta alla brevitas (si pensi allo scontro letterario fra ciceroniani e sallustiani nell'antica Roma), la concinnitas ha sempre vantato nei suoi confronti una maggior chiarezza espositiva, una prolissità mai fine a se stessa, bensì capace di dar vita a un elegante edificio retorico le cui fondamenta affondano nel terreno della "persuasione". Al contrario, la brevitas è sempre apparsa ellittica, discontinua, ma, proprio per questo, in grado di cogliere nel segno con maggior efficacia, evitando lunghi giri di parole e "barocchismi" che rischiano di sviare l'ascoltatore dal senso complessivo del discorso. Nell'uso corrente del termine, concinnitas indica ancora la realizzazione piena, il compimento elegante ed armonioso (del testo o del discorso). Il verbo latino concino significa propriamente "cantare in coro" e, già di per sé, comunica l'idea di una pluralità di voci che vengono modulate per dar vita a una composizione unitaria e suadente: un'armonia risonante, ordinata e costitutivamente architettonica, intessuta però di temi disparati, dissonanti o riecheggianti, che vengono simultaneamente intonati.

"Dal punto di vista del testo lo stile fondato sulla concinnità presenta due diversi registri. In primo luogo, la concinnità fa riferimento a quella che appare come la diretta conseguenza del gioco e dell'interazione stilistica dei testi, che [...] va al di là del testo stesso. In secondo luogo, la concinnità fa riferimento alla risposta creativa del lettore, la quale consiste in ciò che costui elabora del o dal testo"

(Babich, ibidem, p. 24)

È fra le architetture stilistiche che possiamo dunque veder insinuarsi quell'alea tanto cruciale per Foucault, ma dagli effetti sempre duplici: se da una parte accresce il fascino della scrittura a incastro, dall'altro ne mina la coerenza interna e produce differenziazioni fra gli ascoltatori e i parlanti. La sovrapposizione di una pluralità di messaggi apparentemente differenti risulta cioè un avanzato artificio retorico per persuadere meglio il soggetto, evitando una ridondante cadenza sui medesimi concetti che, alla lunga, potrebbe stancare e, soprattutto, insospettire la persona o il pubblico verso cui è diretto il discorso. Attorno all'enunciato di base, dunque, vediamo configurarsi niente più che uno spazio collaterale formato da altri enunciati facenti parte dello stesso gruppo.

Come rimarca Deleuze (Foucault, op. cit.), questa suddivisione non pone alcun problema circa la priorità di definizione spazio/gruppo significativo o gruppo significativo/spazio: a livello di regole di formazione, le due modalità si confondono, perché noi non stiamo mai all'interno di un sistema, ma continuiamo a passare da un sistema all'altro. "L'enunciato non è né verticale, né orizzontale, ma trasversale" (ibidem, p. 17).

A formare il gruppo significativo contribuiscono solo semplici regole di passaggio, cioè "variazioni", ragion per cui la famiglia semantica va intesa come spazio di dispersione, anziché come luogo di omogeneità. Ogni enunciato dello spazio adiacente risulta inseparabile dagli enunciati eterogenei, ai quali resta però legato da regole di passaggio "vettoriali". La situazione, poi, si complica ancor più nel momento in cui prendiamo in considerazione pure lo "spazio correlativo", dove viene invece stabilito il rapporto fra l'enunciato e i suoi possibili soggetti, oggetti e concetti (intesi come derivati). Visto da quest'ottica, l'enunciato non può essere assolutamente una "frase", la quale rinvia sempre a un soggetto di enunciazione definito che, oltretutto, pare avere il potere di far iniziare il discorso. L'enunciato non rinvia neppure a una forma unica, bensì a posizioni intrinseche estremamente variabili che fanno parte dell'enunciato stesso. Il "rinvio" è infatti una sua funzione peculiare: "uno stesso enunciato può quindi occupare più posizioni, più posti di soggetto" (ibidem, p. 18).

Tutte queste posizioni non sono certo figure di un Io primordiale da cui deriverebbe l'enunciato: esse derivano dall'enunciato stesso, sono modi di una "non-persona", di un "egli", di un "si" (contro la personologia, è illuminante il collegamento scaturito fra la filosofia di Foucault e quella di Blanchot). L'oggetto discorsivo dell'enunciato, in definitiva, non consiste in uno "stato di cose" intenzionato, ma deriva sempre e solo dall'enunciato stesso: si costituisce al "limite" delle sue linee di variazione e si circonda sempre di un "mondo", in modo tale che i concetti degli enunciati appaiano "schemi discorsivi", all'incrocio dei sistemi eterogenei attraverso cui esso passa come funzione primitiva.

Per questo motivo Deleuze definisce lo spazio correlativo "l'ordine discorsivo dei posti o delle posizioni di soggetto, oggetto e concetto, all'interno di una famiglia di enunciati".

"Al sistema di parole, frasi e proposizioni, che procede per costante intrinseca e variabile estrinseca, si contrappone la molteplicità degli enunciati, che procede per variazione inerente e variabile intrinseca"

(ibidem, p. 20)

Eliminando la referenzialità del soggetto, il controllo perde dunque il suo centro di propulsione, viene invaso dall'alea, ostenta una forma architettonica priva di significati uni-voci.

È forse la concinnitas l'unica modalità possibile per preservare la pluri-vocità del discorso significativo? O, altrimenti detto, dove sta mai l'intelligenza in un testo scritto dall'intelligenza artificiale? (continua 5.6)