3.1 Moltiplicazione virtuale del soggetto

26.01.2023

Il sentire transgender alimenta nell'uomo contemporaneo lo sdoppiamento del piano reale e virtuale, moltiplicando nel metaverso le possibilità percettive, ma sviluppando anche la consapevolezza dell'ambiguo potere del simulacro attraverso l'avatar e il clone

(se non letto prima, si rimanda al post "3.0 La funzione (psico)logica della congiuntura")

Tutte le persone sono multiple, in un certo qual modo. Se andiamo ad assistere a un concerto in un centro sociale, indosseremo un certo abbigliamento e adotteremo un certo atteggiamento, riservandoci il diritto di rovesciare anche entrambe le possibilità, con l'intento di sottrarci a logori stereotipi. Se andiamo alla presentazione di un libro, in un contesto molto più mondano e borghese, utilizzeremo invece codici comportamentali alquanto diversi. Già questa capacità di distinguere contesti e modi di rapportarvisi significa aver sviluppato in sé una complessità percettiva di quello che possiamo essere, mentre il prenderne coscienza riconosce formalmente una distanza fra piano reale e piano immaginario, favorendo l'intimizzazione di linguaggi differenti, ma ugualmente utili per destrutturare la logica binaria.

"Il linguaggio si scopre liberato da tutti i vecchi miti in cui si è formata la nostra coscienza delle parole, del discorso, della letteratura. Per lungo tempo si è creduto che il linguaggio dominasse il tempo, che esso valesse tanto come legame futuro della parola data, quanto come memoria o racconto; si è creduto che fosse profezia e storia; si è creduto anche che in questa sovranità esso avesse il potere di far apparire il corpo visibile ed eterno della verità; si è creduto che la sua essenze fosse nella forma delle parole e nel soffio che le fa vibrare. Ma non è che mormorio informe e scorrimento, la sua forma è nella dissimulazione...esso è oblio senza profondità e vuoto trasparente dell'attesa"

(M. Foucault, Il pensiero del di fuori, op. cit., p. 132).

Nella definizione di transgender risuona la dimensione temporale stessa che caratterizza questa personalità. "Trans" indica "passaggio", "al di là" di un diveniente che non è ancora giunto alla meta, ma si è comunque allontanato dal luogo di provenienza: un diveniente, dunque, sospeso nel tempo e indeciso nello spazio, in costante posizione di "attesa" verso il compimento. Tale attesa non è però diretta verso il niente, dal momento che l'oggetto in grado di soddisfarla potrebbe già di per sé cancellarla. E tuttavia, là dove sta, non è immobilità rassegnata; possiede la 'resistenza' di un movimento che non intende aver fine, né si promette mai la ricompensa di un riposo. Non si avviluppa in alcuna interiorità: ciascuna delle sue piccole particelle cade sempre in un irrimediabile "al di fuori".

"È nell'oblio che l'attesa si mantiene come un'attesa: attenzione acuta verso ciò che sarebbe radicalmente nuovo, senza legame di somiglianza e di continuità con qualsivoglia cosa (novità dell'attesa essa stessa diretta fuori di sé e libera da qualsiasi passato) e attenzione verso ciò che sarebbe il più profondamente antico (poiché dal fondo di se stessa l'attesa non ha cessato di attendere"

(ibidem, p. 133).

L'attesa appare sempre e comunque sdoppiata nel suo orientamento, indirizzando l'attenzione "verso" un qualcosa che si annida nel futuro, ma anche stabilendo una distanza "da" qualcosa che giace ancora nel passato: dischiude il limite come soglia transeunte del passaggio, rispetto al quale ciò che passa non può mai essere nulla di "in sé", chiuso e preservato nella propria identità. Foucault insiste su questo specifico potere di dissimulazione - che cancella ogni significazione determinata così come l'esistenza stessa di colui che parla - e allude addirittura a una neutralità grigia che formerebbe il nascondiglio essenziale di ogni essere, a partire dal quale liberare lo spazio dell'immagine.

Il linguaggio non è allora né la verità né il tempo, né l'eternità né l'uomo, "ma la forma sempre disfatta del fuori"; "esso fa comunicare, o piuttosto lascia vedere nel bagliore della loro oscillazione indefinita, l'origine e la morte...[perché] l'origine possiede la trasparenza di ciò che non ha fine, la morte apre indefinitivamente sulla ripetizione dell'inizio" (ibidem, p. 133).

L'esistenza di una persona appare un arcobaleno di colori e non una univocità monocroma, dettata dalla necessità che a una data struttura biologica genitale debba corrispondere, solo ed esclusivamente, un dato comportamento. Limitandosi al solo piano dell'analisi linguistica, ogni realtà perde di consistenza e viene vinta dal potere della fluidità.

Conseguentemente cade l'idea che la personalità espressa da una donna, ad esempio, debba essere di un certo tipo e con certe caratteristiche, quindi più spirituale, più emozionale, più remissiva e più sensibile, mentre quella di un uomo debba mostrarsi più determinata, volitiva, forte. Scoprire che tali caratteristiche sono indistintamente proprie di una persona con un corpo biologico maschile o femminile o, addirittura, con un corpo biologico intersessuato, dimostrerebbe che la totalità dell'esistente sia già in termini di transgender e che, quindi, transgender sia semplicemente un'interpretazione del reale, capace di mettere in luce le dinamiche di rottura dei codici binari: codici, appunto, di controllo sociale.

Ma non tutto è così facile e immediato. Per arrivare a comprendere a fondo la funzione d'attrito esercitata dal corpo al di là della consapevolezza del soggetto, occorre soffermarsi sui problemi connessi alla sua duplicazione. Laddove i sensi umani siano trasformati in recettori, inevitabilmente l'uomo s'imbatte nei paradossi della clonazione virtuale.

Oggi è infatti possibile televedere con la televisione, teleascoltare con la radio, con gli audiovisivi, o si può telesentire col teletatto grazie al data-glove (il guanto elettronico) o a un data-suit (l'abito elettronico): un costume che dà modo di telesentire non soltanto teletoccando, ma addirittura teleannusando, in virtù di ricettori olfattivi che digitalizzano tanto la vista quanto l'udito, il tatto, ma anche l'olfatto. L'ultimo senso che presenta una forza d'attrito maggiore, per ora, è quello del gusto, perché il digitale riesce ancora a rappresentare perfettamente la sensazione di bere un vino o un'altra bevanda, ma è un progresso perfezionabile attraverso studi sempre più capillari sui tessuti organici. Basti pensare al potere di lettura genetico contenuto in un innocente tampone naso-faringeo. Siamo dunque di fronte a un percorso di sdoppiamento dell'esistenza, perché la presenza concreta è giunta al punto di poter convivere con quella virtuale del metaverso, praticando addirittura la telesessualità attraverso sensori appropriatamente applicati al corpo (e dunque in grado di simulare l'atto procreativo per eccellenza, sottraendogli però la pericolosa alea dell'accoppiamento genetico, ma anche di far vivere lo stupro come pseudo-fantasia).

Da una parte, in definitiva, riconosciamo realtà fisiche (un uomo e una donna in carne e ossa) e, accanto a esse, una dimensione "avatar": al termine, in passato, si preferiva la voce "clone", ma visti gli sviluppi delle biotecnologie nella diretta produzione dei corpi, è oggi più corretto parlare di avatar. Quest'ultimo va inteso come essere virtuale che ci rappresenta, il nostro doppione, una copia elettromagnetica od ologrammatica, la quale può però agire in maniera terribile o ludica sia nell'una che nell'altra dimensione. Viviamo a tutti gli effetti un sdoppiamento del corpo: possiamo disporre di un corpo concreto, in carne e ossa, e di un corpo virtuale, cioè l'avatar, copia soggetta al possibile teletrasferimento a ulteriori livelli rappresentativi e percettivi.

Parallelamente possiamo accedere all'eventuale regia video per il suono e l'immagine, ma anche a portoni virtuali attraverso cui ricevere lo spettro dell'avatar del proprio visitatore. Ad esempio: qualcuno suona a casa nostra, noi siamo in una specie di sala di ingresso, sappiamo che è arrivato uno spettro, l'avatar, e possiamo anche immaginare di chi si tratti; indossiamo l'abito digitale e ci facciamo allora avanti col nostro videocasco. Entriamo nel portone e vediamo l'avatar del nostro partner: a questo punto possiamo abbracciarlo, stringere la sua mano, osservarlo, parlargli, ascoltarlo, sentire persino il suo profumo digitalizzato, benché ancora non sia facilmente possibile assaggiarne il profumo, in quanto il gusto continua a creare problemi di restituzione realistica (probabilmente perché si tratta del senso su cui l'uomo moderno ha meno scommesso per la propria sopravvivenza). Questo sdoppiamento fa sì che si sia passati dall'invenzione di finestre virtuali, ossia grandi schermi televisivi e aperture focali tipiche della telesorveglianza, a porte virtuali per il telespostamento degli avatar e degli spettri elettromagnetici che rappresentano i nostri doppioni (al momento solo elettromagnetici, ma già pronti a tramutarsi in cloni genetici).

Ritornando alla riflessione avanzata da Deleuze, possiamo dunque affermare che la mobilitazione della dividualità contro l'individualità apre oggi a una forma instabile di controllo: la disciplina costringe ciò che è invisibile - il desiderio, la volontà, l'intenzione - alla visibilità, sia per il sé che per i meccanismi disciplinari, stabilendo una connessione reciproca e continua tra visibile e invisibile, portandolo infine all'essere (o almeno così crediamo). Il controllo, al contrario, ignora l'ontologia dell'invisibile perché di fatto lo spaccia per visibile, lo ripropone nell'ordine dell'apparenza e del simulacro: implica mere manifestazioni esterne al desiderio, modulazione di movimenti grossolani del corpo in conformità col telos del momento.

Nella dimensione del controllo esiste allora una maggior consapevolezza della duplicità dell'essere, ma anche, forse, una minor ingenuità nel ritenere realmente conoscibile l'invisibile, sebbene l'uomo contemporaneo ami abbandonarsi alle suggestioni dell'illusione. Illusione: precedentemente abbiamo richiamato la radice latina "in-lusio", "entrare in gioco". Il controllo, infatti, non può che esercitarsi nell'ambito dell'indecibibile e dell'infinitamente ripetibile, comportando un sorprendente ribaltamento ontologico: non è il controllo a determinare e soffocare il gioco, ma è il gioco stesso che implica e genera il controllo.

Essere consapevoli di questo radicale mutamento di prospettiva può allora aiutarci a liberare modalità di resistenza del tutto imprevedibili (continua 3.2).