3.4 La simulazione come unica resistenza possibile

29.01.2023

L'eccesso di stimolazione ed erotizzazione dei corpi, prodotto dalla società contemporanea, porta a una forma di inerzia compensativa: lasciar correre nell'indifferenza, onde evitare d'implodere nella contraddittorietà dei messaggi. Dalla comunicazione per segni a quella per simulacri

(se non letto prima, si rimanda al post "3.3 L'esibizione del corpo")

Esattamente come accade nella scrittura barocca, dove la ricerca dell'effetto retorico può divenire a tal punto esasperata da indurre a perdere il senso d'insieme, così il corpo di un soggetto corre il rischio di essere "sovraccaricato": l'eccesso di stimolazione erotico-estetizzante finisce per generare messaggi autocontraddittori ("mangia meno per restare in forma", "ogni corpo è bello per quello che è"...).

La ripetuta pluralità degli stimoli suscita, indirettamente, una resistenza del corpo, resistenza che produce di volta in volta nuove configurazioni, nuovi comportamenti e risposte, nonostante quest'ultimo termine continui ad avere un'accezione passiva, di stasi piuttosto che di movimento. Ritroviamo tale passività, con una connotazione realmente negativa, nel concetto di inerzia che Umberto Galimberti (sulla scorta di Jean Baudrillard) individua come unica forma di difesa oggi rimasta al corpo, tant'è sovraccarico di inscrizioni di ogni genere (U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 234).

Baudrillard, nella lettura del filosofo italiano, sembra dire che i corpi sono ormai talmente scritti, talmente sovraccarichi di segni e impronte accumulatisi addosso e al suo interno, d'aver raggiunto un livello di saturazione, di cortocircuito, di impossibilità a ricevere e rimandare ancora risposte; siano esse di soggettivazione al potere, o di resistenza a questo stesso potere, poco importa. L'unica possibilità è allora quella di assorbire tutto nell'inerzia totale, senza rilanciare alcuna risposta. Fenomeno che trova una sua curiosa manifestazione epiteliale nella moda del tatuaggio occidentale, completamente avulsa da ritualità e simbologie tradizionali, rimandando semplicemente a una successione di eventi occasionali e mai capaci di sintesi.

La prospettiva dischiusa da Baudrillard trova la propria proiezione nell'orizzonte della perdita e dell'implosione da una parte (a proposito del concetto di 'implosione' - contrapposto, o meglio, proposto come alternativo a quello di rivoluzione, cioè l'esplosione produttiva e generatrice - si veda soprattutto J. Baudrillard, Dimenticare Foucault), dall'altra nell'orizzonte della sfida simbolica e della simulazione (per quanto riguarda il concetto di 'simulazione', si rimanda invece a J. Baudrillard, La trasparenza del male e Il delitto perfetto). Nell'universo della simulazione totale, non è più possibile una resistenza "produttiva", generativa di ulteriori significati. Proprio qui si colloca la principale critica che Baudrillard muove a Foucault: il suo è un potere che produce sempre, è pura espansione, non ha mai alcuno spazio esterno, alcun luogo dove si annulli o raggiunga il cortocircuito e dunque la reversibilità, la morte. È un'istanza totalizzante, irreversibile, che non si autodistrugge mai; anzi, è talmente diffuso e micromolecolare, che finisce per confondersi con le resistenze, in un processo cumulativo dove non c'è mai perdita:

"Ora questo 'potere' resta un mistero: partito dalla centralità dispotica, diventa a metà strada 'molteplicità di rapporti di forze' (...) per giungere, al termine estremo, a forme di resistenze-controllo (...) talmente infinitesimali, talmente tenui che, letteralmente, a questa scala microscopica gli atomi del potere e gli atomi di resistenza si confondono. Lo stesso frammento di gesto, di corpo, di sguardo, di discorso rinchiude l'elettricità positiva del potere e l'elettricità negativa della resistenza"

(J. Baudrillard, Dimenticare Foucault, op. cit., p. 87).

La grande macchina del potere che Foucault descrive in maniera così ben articolata è ormai superata - sostiene Baudrillard - e il fatto stesso che egli la sveli, il fatto stesso che la faccia apparire in tutta la sua trasparenza, mostra che ormai è esaurita.

"Quando si parla tanto del potere, vuol dire che questo non c'è più. Così per Dio: la fase in cui Egli era ovunque ha preceduto di poco quella della sua morte. (...) Così per il potere: proprio perché è defunto, fantasma, fantoccio [...], proprio per questo se ne parla tanto e così bene. La finezza e la puntigliosità dell'analisi sono esse stesse un effetto di nostalgia"

J. Baudrillard, Dimenticare Foucault, p. 104

Tutto questo è segno che la sostanza del potere, dopo la sua espansione senza tregua da molti secoli, sta implodendo brutalmente (Ib. p. 97). Nulla - dice ancora Baudrillard - è irreversibile; tutto divora via via se stesso e, prima di esaurirsi definitivamente, si ripete in un "gioco di simulacri" e tutto allora oscilla lontano dietro l'orizzonte della verità.

È altrettanto vero, però, che Foucault pone una ripartizione rigorosa tra simulacri e segni, in quanto chiavi di lettura del reale. Gli uni e gli altri non appartengono affatto alla stessa esperienza, anche se capita a volte si sovrappongano. Evidenzia provocatoriamente Foucault, con toni sempre più distanti dalla prosa comune: "Il fatto è che il simulacro non determina un senso; perché il suo ordine di apparizione appartiene all'esplosione del tempo: illuminazione del Mezzogiorno ed eterno ritorno" (M. Foucault, La prosa di Atteone, Scritti letterari, op.cit., p.92).

Il filosofo di Poitiers ha riconosciuto in Pierre Klossowski colui che, dal fondo dell'esperienza cristiana, ha saputo ritrovare le suggestioni e le profondità del simulacro, scavalcando tutti i giochi di ieri: quelli del senso e del non senso, del significato e del significante, del simbolo e del segno. Nell'opera dello scrittore parigino, il regno dei simulacri obbedisce a regole precise: il capovolgimento delle situazioni si verifica all'istante e nella forma del pro e del contro in modo quasi poliziesco (i buoni diventano i cattivi, i morti resuscitano, i rivali si rivelano complici, i carnefici sono astuti salvatori...). Ogni capovolgimento sembra essere avviato sulla via di un'epifania; ogni scoperta rende l'enigma sempre più profondo, moltiplica l'incertezza, e svela un elemento solo per velare il rapporto che esiste fra tutti gli altri. L'aspetto più singolare e difficile, tuttavia, è realizzare che i simulacri non sono cose, né tracce, né quelle belle forme immobili che un tempo erano le statue greche. I simulacri, qui, sono esseri umani: simulacri molto più vertiginosi che i volti dipinti delle divinità. Sono esseri perfettamente e totalmente ambigui poiché parlano, fanno gesti, ammiccano, agitano le dita e si affacciano alle finestre come "semafori" (forse per inviare dei segni o dare l'impressione che ne inviino, mentre producono soltanto simulacri dei segni?).

"Con simili personaggi non si ha a che fare con gli esseri profondi e continui della reminiscenza, ma con esseri votati, come quelli di Nietzsche, a un profondo oblio, a quell'oblio che permette nel "sous-venir" il sorgere del Medesimo. Tutto in loro si frammenta, prorompe, si offre e si ritira all'istante; possono essere tanto vivi quanto morti, poco importa; l'oblio in loro veglia sull'identico. Essi non significano niente, essi simulano se stessi: [...] Roberta, soprattutto, che simula Roberta nella distanza infima, irraggiungibile, per mezzo della quale Roberta è quella che è, questa sera".

Michel Foucault (ib., p.93)

La perdita del senso, connessa al superamento della dimensione del potere-disciplinare a favore di quella fondata sul potere-controllo, comporta una regressione della temporalità al puro istante. Non esiste più un vissuto come sostrato di ritenzioni e protensioni, capace di orientare il futuro sulla scorta del passato e secondo un flusso di impressioni in continuità digradante, ma solo l'attuale. L'uomo-simulacro è ciò che appare qui e ora, non ha più un fondo identitario che funge da "substantia" cui rapportare ogni occasione di vita, ma si plasma totalmente e differentemente in funzione di ciò che accade. Il simulacro si esaurisce allora nella dimensione dell'apparenza spacciata per essere, perdendo la profondità del doppio insita invece nel segno ("ciò che sta per", che rimanda all'altro e non si esaurisce mai in sé).

L'uomo contemporaneo è dunque condannato a rimandare al nulla del suo stesso e progressivo svanire? (continua 3.5)