3.7 Il sesso e la strategia del segreto

01.02.2023

La sostituzione degli spazi confessionali agli spazi dialettici, oggi, non è che la riproposizione dell'efficace modello cristiano di stanamento del desiderio, ma la società del controllo è chiamata a fare i conti anche con il doppio gioco del "segreto tattico"

(se non ancora letto, si rimanda al post "3.6 Se il controllo si fa carne")

Controllo e sessualità, in Occidente, manifestano analoghe modalità di emersione nel discorso pubblico. Entrambi sono infatti soggetti a una spettacolarizzazione per nulla innocente, essendo quest'ultima attraversata da "loquaci mutismi" che inducono a parlare all'eccesso senza dire alcunché. Un meccanismo ossimorico ben chiaro a Foucault.

"L'enunciato dell'oppressione e la forma della predicazione rinviano l'uno all'altra, si rafforzano reciprocamente", scrive a proposito ne La volontà di sapere (Feltrinelli, Milano 1978, p. 13). Proprio come avvenuto in passato per la dimensione sessuale, gli spazi dialettici vengono sistematicamente sostituiti dagli spazi confessionali, in modo tale che la confessione buttata in faccia al mondo intero possa affidarsi all'abbraccio consolatorio del Grande Fratello. Al contempo, restrizioni sempre meno percepibili vengono applicate al linguaggio con l'intento di "controllare il discorso sul controllo": un discorso obbligatorio e attento deve seguire, in tutte le sue evoluzioni, la linea di congiunzione del corpo e dell'anima, far apparire, sotto la superficie dei peccati, la nervatura ininterrotta della carne.

"Esaminate tutte le vostre potenze, memoria, intelletto e volontà. Esaminate tutti i vostri sentimenti, particolarmente i due primi del vedere e dell'udire, e molto più l'ultimo del toccare. Esaminate i pensieri, le parole, le opere. Esaminate persino i sogni, se poi svegliati avete prestato loro qualche consenso..."

(M. Foucault, La volontà di sapere, op.cit., p. 21).

L'odierno "processo di trasposizione in discorso" non è più legato al solo sesso, ma ad ogni aspetto della vita, a ogni sua possibile manifestazione. Affinché tutto sia visibile in quanto dicibile, il soggetto è infatti indotto a trasformare il proprio desiderio in discorso. L'incitamento a rifiutare la proibizione di certi termini, al pari della decenza delle espressioni, ma anche tutte le censure del vocabolario, non sono che un dispositivo per rendere moralmente accettabile e tecnicamente utile il concetto stesso di trasgressione: la si incatena a effetti di padronanza attraverso analisi, classificazioni, tipologizzazioni, statistiche o, assai più spesso e con maggior efficacia, attraverso etichette.

 Il segreto del potere-controllo, spacciato per assenza di segreto, diviene dunque speculare a quello del sesso:

"Non è probabilmente la realtà fondamentale rispetto alla quale si collocano tutte le incitazioni a parlarne - sia che cerchino di infrangerlo, sia che lo riproducano oscuramente per il modo stesso in cui ne parlano. Si tratta piuttosto di una tema che fa parte della meccanica stessa di queste incitazioni: un modo di dar forma all'esigenza di parlarne, una favola indispensabile all'economia indefinitivamente proliferante del discorso su"

(Ibidem, p. 36).

Paradossale non è dunque il condannare all'oscurità il discorso sul controllo, bensì il parlarne sempre più di frequente, lasciando supporre che al di là di esso esista comunque un "segreto". La nostra società fa leva sul piacere minuto di alimentare il "segreto" attorno al controllo (costringendo a nascondersi per mettere in condizione di scoprire), di risalirne il filo, di seguirlo dalle origini agli effetti. Ovunque sono predisposte quelle che Foucault chiama "linee di penetrazione": il potere-controllo, ancor più del potere-disciplinare, ha bisogno di presenze costanti per potersi esercitare, attente e curiose talvolta; presuppone prossimità, procede per esami e osservazioni insistenti; richiede uno scambio di discorsi, tramite domande che estorcono confessioni e confidenze che vanno al di là delle richieste.

"L'intensità della confessione rilancia la curiosità delle domande; il piacere scoperto rifluisce verso il potere che lo circoscrive"

(ibidem, p. 44).

Questo meccanismo, ancora imparentato alle forme del potere-disciplinare, ha però preso tutti in contropiede. Oggi non fa più scandalo essere spiati, seguiti passo per passo, perché si ricerca addirittura l'occhio della telecamera. Deliberatamente. La verità non risiede solo nel soggetto che, confessando, contribuisce a portarla alla luce della pienezza. Prende invece forma attraverso un doppio gioco: presente, ma incompleta, cieca a se stessa in colui che parla, può completarsi solo in colui che la raccoglie. Qualcuno sosterrà: mere esigenze ermeneutiche dettate dalla scomparsa della Verità. Non dobbiamo tuttavia trascurare un aspetto "strategico": per quanto il soggetto scelga di esibirsi, non è detto che lo faccia per manifestare la volontà di farsi comprendere.

Consideriamo ad esempio la provocazione di Antonin Artaud, l'ideatore del Teatro Crudele. In relazione alla sua figura, Florinda Cambria distingue due possibili forme di discorso: il discorso "intorno", cioè riguardante un soggetto che può interagire con ciò che di lui viene detto e in parte anche negare quanto lui stesso ha detto, e il discorso "su", la cui funzione è di reinterpretare i discorsi precedenti, coagulandoli e annettendoli a sé come propria fase preliminare. Questa scissione è alla base di un paradosso: "se quelli che erano stati chiamati i discorsi intorno ad Artaud, sviluppatisi mentre questi era in vita, erano stati inevitabilmente caratterizzati dalla necessità di doversi riorganizzare in relazione ad un centro mobile (che, parlando a sua volta, faceva di sé oggetto e soggetto di un perimetro non chiuso), il discorso su Artaud (e la preposizione "su" vorrebbe indicare la supposta permanenza e staticità dell'oggetto di tale discorso, come suo basamento consistente), pur istituendosi come tentativo di retrospettiva rispetto ad un fatto teoricamente concluso (la vita di Antonin Artaud, appunto), più che disattivare l'interferenza dovuta alla mobilità del proprio oggetto, sembra palesarne l'irriducibilità" (F.Cambria, op.cit., p.30).

L'esperienza personale di un soggetto si apre, e al contempo resiste, al flusso discorrente del tempo storico, scandito dal ripercorrere della distanza fra l'inattingibilità di un argomento e la necessità del suo commento. Dimensione ancor più palese, là dove viene meno pure il supporto della parola, affidandosi solo a un'immagine "oggettiva".

Il potere-controllo induce a sfiorare i corpi, li accarezza con gli occhi, ma a differenza del potere-disciplinare manca della capacità di riconoscere quali regioni siano intensificate, quali superfici elettrizzate, quali momenti di turbamento siano drammatizzati a discapito di altri. La sua ricercata neutralità, o oggettività, non può far breccia nel segreto del soggetto visto: può solo leggere, osservare la sua risposta, ma non interagire in tempo reale. Questo comporta pure un calo del desiderio insito, al contrario, nell'esercizio del potere-disciplinare:

"...meccanismi a doppio impulso, piacere e potere. Piacere di esercitare un potere che interroga, sorveglia, fa la posta, spia, [ma anche] palpa, porta alla luce; e dall'altro, piacere che si accende per dover sfuggire a questo potere, sottrarvisi, ingannarlo o travisarlo. Potere che si lascia invadere dal piacere a cui dà la caccia; e di fronte ad esso, potere che si afferma nel piacere di mostrarsi, di scandalizzare o resistere. Captazione e seduzione"

(M. Foucault, La volontà di sapere, op. cit., p. 44).

Il controllo annichilisce dunque la dimensione attiva e creatrice del potere, riduce il tutto a un mero gioco di passività, di "spenta reazione" secondo l'accezione nietzschiana. Il potere diviene sì tollerabile, ma a condizione di dissimulare una parte importante di sé. La sua riuscita è infatti proporzionale alla quantità di meccanismi che riesce a nascondere. Il controllo non funziona così. Il segreto che si cerca di opporre alla sua invadenza, che propugna l'assenza di ogni segreto, viene svuotato di tutta la sua carica eticamente trasgressiva, del suo fascino arcano, divenendo un semplice gioco di rappresentazioni. Di simulazioni. Una sofisma intellettualistico. Esemplare, come vedremo più avanti, è l'uso del segreto che Foucault ha evidenziato nelle opere letterarie di Raymond Roussel.

La comunicazione, in definitiva, non appare caratterizzata da un imperativo mirante a chiarire le zone d'ombra ma, al contrario, muove dal segreto e a esso fa sempre ritorno. Se il segreto si consuma, finisce infatti la benzina. Il punto chiave, però, è che si tratta sempre di un segreto controllato: non un tabù, un segreto inviolabile, ma un "segreto tattico". Quel che conta non è ciò che è segreto (pur facendo funzionare la comunicazione, progressivamente tenderebbe a essere cancellato), ma il carattere strategico del non sapere, il fatto che l'informazione segreta continui a spostarsi (a venir spostata) come un segreto di Pulcinella: mai troppo nascosto e (almeno potenzialmente) noto o conoscibile a tutti, il segreto tattico sfugge grazie a questo o a quel trucco.

Altro esempio: sediamo al computer e cerchiamo informazioni su un volo. Clicchiamo e compare una finestra di dialogo contrassegnata da un lucchetto: «Si stanno per visualizzare delle pagine su una connessione protetta. Le informazioni scambiate con questo sito non possono essere utilizzate da altri utenti del web». Che cosa sta accadendo, qui? Secondo la guida in linea «si sta tentando di stabilire una connessione protetta con un sito web. Questo sito web fornisce una comunicazione protetta e dispone di un certificato valido. Comunicazione protetta significa che le informazioni inviate al sito, quali il nome o il numero di carta di credito, sono crittografate in modo da non poter essere lette o intercettate da altre persone». Ecco un caso emblematico di segreto tattico: nei metodi di crittografia e decrittazione non è mai in gioco la possibilità di svelare una volta per tutte l'informazione nascosta (la trasparenza assoluta) o di nasconderla per sempre (la crittografia perfetta), ma solo il tempo del suo dilazionamento, cioè le strategie contrapposte per favorirne o limitarne il controllo e la circolazione.

Il segreto della società della conoscenza e del controllo è dunque che "funziona a segreto". E il "segreto" delle sue retoriche è che non bisogna dirlo troppo in giro. Silenzio strategico, divieto d'accesso ottenuto mediante dissimulazione: la privacy sarebbe dunque il diritto all'autodeterminazione informativa, all'oblio controllato (per esempio, nel caso di informazioni ormai datate), alla non comunicazione sorvegliata, tanto in uscita (nel senso di una limitata circolazione delle proprie informazioni) che in entrata (nel senso di un rigoroso vaglio delle comunicazioni che si desideri o meno ricevere). In tutte le sue sfaccettature la non comunicazione è dunque essenziale alla comunicazione, ma nella forma prevalente di un più di controllo, spesso di autocontrollo. Dove sta, in definitiva, il controllo? (continua 3.8)