5.7 Il filo rosso del linguaggio nel labirinto della comunicazione

25.02.2023

Nel simulare la vita, le procedure di controllo in atto nel linguaggio coincidono con le stesse rilevabili nel gioco, generando l'illusione di una spazialità senza differenziazioni dagli effetti annichilenti o addirittura mortali per l'uomo

(se non letto prima, si rimanda al post "5.6 Imitare la vita per espellere l'imprevedibile")

Identico e identità dovrebbero essere il punto d'approdo delle procedure di controllo in atto nel linguaggio, ma ogni tentativo di far coincidere parole e cose, ideale e reale, si rivela sempre e solo terra promessa. Tale frustrazione, che tanto si riflette nei tentativi di superare il limite della morte attraverso la riproduzione della vita e il suo innesto in supporti non deperibili, trova una volta ancora eco nella sostanza della "resurrettina" descritta nelle pagine di Raymond Roussel.

"L'enigma della nascita ha dunque lo stesso significato delle scene di vita prolungate tramite la resurrettina: manifesta da ogni versante del puro evento (nascita/morte) l'esatta ripetizione della stessa cosa...nel momento più enigmatico, quando ogni cammino è interrotto e accediamo alla perdita o all'origine assoluta, quando siamo sulla soglia dell'altro, il labirinto offre improvvisamente lo Stesso. Specchio dall'altro lato del quale troviamo l'identico"

(Foucault, RR, op. cit., p.116)

Per l'uomo, il controllo funziona come uno specchio, mostra che la vita prima di essere "vivente" era già la "stessa", così come continuerà a esserlo nell'immobilità della morte: è questa la sottile e tragica illusione dello specchio della rappresentazione, che duplica per restituire un'immagine solo apparentemente identica all'originale, essendo incapace di restituirne il flusso vitale. Il riflesso permette di rimirare la vita "delabirintata", una vita di superficie che pare essere dicibile perché visibile, ma di fatto una vita morta, perché replicata e replicabile. La vita "eterna" inseguita dall'uomo è il riflesso di un riflesso che produce solo accecamento.

"In quel luogo le differenze si ricongiungono e ritrovano l'identità; la casualità della morte e dell'origine, divise dalla sottile lamina dello specchio, si ritrovano nello stesso spazio virtuale ma vertiginoso del doppio"

(ibidem, p. 117)

La vertigine, di nuovo. Attraverso lo studio del "procedimento" esibito nell'opera di Raymond Roussel, il controllo rivela di essere partecipe di tutte quelle categorie che, inizialmente, abbiamo riscontrato nel gioco e che, non casualmente, ritornano oggi nel successo del conoscere attraverso il "gaming": la battaglia audiovisiva (agon), il caso (alea), l'imitazione come ripetizione (mimesis) e, infine, la vertigine del doppio (ilinx). Lo spazio del 'procedimento' è infatti contraddistinto da ciascuna di queste categorie: trae origine dal caso verbale che sdoppia e fa sgorgare, tramite metamorfosi, un tesoro di differenze di cui ritrova l'identità attraverso la congiuntura operata dal "labirinto" delle parole. Anziché di teatro della vita, sarebbe allora più pertinente parlare di labirinto della vita.

Il primo, infatti, destina gli attori a essere visti, facendo vedere attraverso il doppio: il visibile si presenta come una transizione verso un linguaggio al quale è completamente destinato. Al contrario, il linguaggio di Roussel tende a inclinare la visibilità verso le cose, perché la meticolosità dei dettagli continuamente profusi riassorbe poco a poco il visibile nel mutismo di oggetti in sé conclusi. Auto-riproducentesi all'infinito, senza possibilità di errori e, dunque, di erranza.

"Come se si trattasse di un teatro svuotato di tutto ciò che lo rende comico o tragico, che riversa, alla rinfusa, la sua inutile scenografia davanti a uno sguardo impietoso, sovrano e disinteressato: un teatro consegnato inesorabilmente all'inanità dello spettacolo, che può offrire solo il contorno della sua visibilità"

(ibidem, p. 127)

Questo linguaggio appartiene all'ordine dell'enigma, non del teatro, perché svuota la vita della sua teatralità, lasciando in scena niente più che i giochi d'ombra del segreto.

"Forse il procedimento non è che una figura singolare presa in uno spazio più ampio, dove si incrociano il labirinto (la linea all'infinito, l'altro, la perdita) e la metamorfosi (il cerchio, il ritorno allo stesso, il trionfo dell'identico). Forse questo spazio di miti senza età è quello di ogni linguaggio, che avanza all'infinito nel labirinto delle cose, ma che la sua essenziale e miracolosa povertà riconduce a se stesso, attribuendogli un potere di metamorfosi: dire un'altra cosa con le stesse parole, dare alle stesse parole un altro senso"

(ibidem, p. 119)

È ancora possibile definire questo spazio? O mostra semplicemente il luogo nel quale la parola è condannata a sprofondare senza ritorno? L'impatto delle tecnologie digitali e la costruzione del metaverso stanno oggi assumendo una predominanza tale da farci perdere i punti di riferimento della spazialità. Proprio come accade con la stereofonia, stando a Paul Virilio: la spazialità viene rappresentata da uno spazio della presenza concreta e da uno spazio virtuale. Queste due dimensioni, prodotte artificialmente ma inconsapevolmente dalla frequentazione del linguaggio che dice (scorpora) l'essere dell'esistente, interagiscono però l'una con l'altra: lo spazio virtuale non può allora essere considerato una semplice scena teatrale, un'immagine fantastica, o addirittura la rappresentazione di un sogno.

"Si tratta di luoghi di azione e di interazione - osserva il filosofo francese ("Il futuro nello spazio stereoreale", intervista per Mediamente del 20 gennaio 1999) - per questo è essenziale che questi due spazi, quello attuale e quello virtuale, funzionino come i bassi e gli acuti in stereofonia, per il fatto che esiste un'unità di percezione del reale. Sicché oggi, dinanzi all'affermazione delle nuove tecnologie, il problema è che si rischia di perdere la realtà, di precipitare nel disordine, di arrivare a uno sdoppiamento dell'identità del reale. Di ciò già si vedono segnali anticipatori, quali la diffusione di certe malattie come il cosiddetto I.A.D., Internet Addiction Disorder, stato confusionale da Internet-dipendenza".

Chi fa uso continuo o ripetuto di tecnologie "virtualizzanti" perde suo malgrado il senso del reale, perché vive in una condizione di persistente incertezza fra ciò che esiste in atto e ciò che esiste nella rappresentazione dell'atto. Uno squilibrio tanto meno ricomponibile, quanto più la rappresentazione interagisce col soggetto dividualizzato. Per millenni, la storia ha preso forma innanzitutto nello spazio attuale, ricorrendo alla prospettiva, alla mappatura e a qualunque altra forma di sdoppiamento per evidenziare soprattutto lo "scarto" fra reale e ideale. Oggi lo "scarto" è proprio ciò che si vuole rimuovere attraverso il perfezionamento della simulazione e la rimozione di ogni possibile attrito o negatività, finendo per richiudere il soggetto nella cornice ideale da lui stesso ideata per vedere meglio i limiti della vita. Per Virilio diventa allora indispensabile operare per la produzione di una stereo-dimensione in cui sia sempre possibile percepire lo sdoppiamento o l'aumento della realtà, esibendo il movimento polarizzante dei due piani. Metterlo costantemente "in gioco". Nessun rifiuto o demonizzazione della tecnologia, ma un uso a misura d'uomo, dunque di un soggetto che è tale solo in virtù del proprio limite e della propria differenza.

Se vediamo l'immagine di qualcuno in rilievo è perché abbiamo due occhi, se sentiamo la voce di qualcuno è perché abbiamo due orecchie ed è solo in virtù di questa spazialità-differenziante che è possibile percepire un effetto di campo, di rilievo sonoro e di rilievo visivo: in breve, una stereofonia e una stereoscopia. Pur sdoppiando, il corpo umano conserva dunque la capacità di non appiattire la vita nell'illusione dei proiezioni geometriche. Nelle tecniche di comunicazione e controllo non è in gioco soltanto il mantenimento della stereofonia e della stereoscopia, ma il rapporto stesso la realtà della vita: lo scarto fra locale e globale, fra percepito e percipiente, non può essere considerato un difetto di allineamento o coincidenza, ma il limite di esistenza (consapevole) del soggetto stesso.

Siamo oggi di fronte a un tipico effetto di concinnitas, che sollecitando gradi di risonanza diversi nel lettore/uditore medio e atonale, così come nel lettore/uditore ricettivo e intonato, può contribuire contemporaneamente a decostruire o costruire i limiti dello spazio-tempo. La proliferazione dei messaggi e degli stimoli scardina infatti l'eleganza (ma anche la limitatezza) estetica dell'aut-aut, tipica della brevitas, risospingendo nella mistica ambiguità di un dialettico sowohl als auch (sia-che, tanto-quanto, in tedesco). Il corpus audio-visuale, malgrado o grazie alle tecniche di controllo, si è evoluto in un codice di doppia sovversione: nei riguardi di se stesso (nel contenuto manifesto) e del lettore/ascoltatore (nelle aspettative). Ogni discorso è dunque attraversato da un movimento a più registri: è in grado non solo di sovvertire la consapevolezza che il lettore/ascoltatore ha di sé e dell'altro, ma anche di imporsi come esplicita riflessione autosovversiva.

Ma qual è il livello di consapevolezza della società odierna? (continua 5.8)