1.3 Come produrre un enunciato

03.01.2023

Attraverso linee vettoriali di senso è possibile raccogliere tracce sotto lo stesso insieme. Oggettività e significatività, tuttavia, dipendono dalla capacità di leggere la dinamica dell'effetto di cumulo

(se non letto prima, si rimanda al post "1.2 Ripensare l'origine")

Il controllo è riconoscibile in ciò che si dice, al di là del suo essere attribuito a soggetti specifici, o tecnicamente parlando a "operatori di sintesi". L'abolizione delle unità di senso "pre-determinate" permette anzitutto di restituire all'enunciato la sua singolarità di evento, evidenziando come la discontinuità sia a esso intrinseca. Per banale che sia, un enunciato appare sempre un evento che non può essere esaurito né dalla lingua, né dal senso.

"Da un lato è legato a un gesto di scrittura o all'articolazione di una parola, ma dall'altro gli si apre un'esistenza persistente nel campo di una memoria o nella materialità dei manoscritti, dei libri e di qualunque altra forma di registrazione; perché è unico come ogni evento, ma si presta alla ripetizione, alla trasformazione, alla riattivazione; infine, perché è connesso non soltanto a situazioni che lo provocano e a conseguenze che esso stimola, ma al tempo stesso, e con modalità completamente differenti, a enunciati che lo precedono e lo seguono"

(Microfisica del potere, Einuadi, Torino 1977, p. 39). 

Foucault sostiene che liberando i fatti di discorso da tutti i raggruppamenti che si presentano come unità naturali, immediate e universali, ci si dà la libertà di descrivere altre unità, ma per mezzo di un insieme di decisioni "controllate". Il controllo si manifesta allora nella coerenza del discorso, nella sua garanzia di attendibilità e comprensione logica, ma anche in quell'elemento invisibile eppur palpabile che organizza le relazioni negli insiemi discorsivi.

La tartaruga della favola senegalese inizia ad apparire meno ingenua di quanto credano il leopardo e il senso comune, avendo dimostrato a tutti gli abitanti di Numbelan quanto poco conti la legge della giungla: è vero, si obietterà, l'eroica testuggine non riesce ad aggirare il destino cui viene condannata da quella stessa legge, ma al prezzo supremo afferma che è comunque possibile scardinarne l'inevitabile certezza.

Il suo è un gesto dal vago sentore socratico, ma con effetti decisamente opposti.

"Per non passare da essere insignificante e incapace - commenta a fine storia un vecchio saggio - forse la tartaruga aveva ritenuto giusto lasciare delle tracce riconoscibili di una sua resistenza, prima di soccombere al leopardo"

(M. Gadji, op. cit., p.11).

Ammettiamolo. Sarà stata pure una testuggine orgogliosa, ma di certo non folle, né innocente: perché la sua messa in scena instilla nell'ordine della natura un pericoloso seme di rivolta, in grado - alla lunga - di capovolgere realmente gli equilibri di forza ormai in vigore dalla notte dei tempi. Occulta il potere attraverso il "gioco della rappresentazione", trasformando gli ultimi istanti della sua vita in uno spettacolo teatrale di magniloquente risonanza. "Passiamo pure all'atto finale" - sentenzia infatti prima di morire. L'eroina della favola senegalese porta l'una al posto dell'altra, in una sovrapposizione instabile, due forme di invisibilità al polo che è più intensamente rappresentato: parola e immagine dileguano nel rimando. Ciò che si vede non sta in ciò che si dice. Anzi, l'ironia appare ancor maggiore, nel momento stesso in cui la tartaruga rifiuta al carnefice di commentare il suo gesto, adducendo la scusa del tempo. Jacques Derrida avrebbe forse detto che essa è "quel fuorilegge che fa la legge oltre il proprio cadavere" (Sull'ospitalità, Baldini&Castoldi, Milano 2000, p.108).

Che cosa turba, dunque, il povero leopardo? Fuor di metafora, la destabilizzazione del consueto, della continuità, mette i brividi. La Norma è qui minacciata, lo si intuisce attraverso il filtro della stravaganza, eppure non si riesce a capire in quale modo se ne stia attuando la sovversione.

La Norma, ci dice Georges Canguilhem (Il normale e il patologico, p. 204), deriva dal latino norma, che significa "squadra per misurare gli angoli retti"; in seguito ha assunto il senso di "regola", "legge" e si è estesa a una grande varietà di campi. Una norma è allora qualcosa che serve a raddrizzare, a rendere diritto ciò che si presenta come storto, obliquo, deviato rispetto a una direzione assunta come canone. Questo ci rimanda al concetto di normativo, cioè di un'istanza che impone un'uniformità forzata a qualcosa che si differenzia e, proprio in questo differenziarsi, si offre come ostile, prima ancora che estraneo. È un riferire a un reale, che si dà in maniera differenziata ed eterogenea, dei valori, celando questa stessa operazione di scarto: dal primo momento che stabilisco come normativo un comportamento, un fatto, un carattere, metto in atto un'operazione di esclusione. Definisco, attraverso uno scarto, una discriminante negativa, la quale, automaticamente, si carica dell'attributo di anormalità, di devianza. Risulta chiaro come il rapporto normale-anormale non sia un rapporto di contraddizione e di esteriorità, ma piuttosto una relazione dialettica di inversione e polarità:

"La norma, svalutando tutto ciò che il riferimento a lei stessa vieta di considerare normale, crea essa stessa la possibilità di una inversione dei termini. Una norma si propone come modo possibile di unificazione di un diverso, di riassorbimento di una differenza"

(G.Canguilhem, op.cit, p.205).

Si tratta di un'omogeneizzazione attraverso la creazione di una differenza che gravita attorno alla Norma, che prende da essa le mosse, che le è speculare e funzionale, una differenza che si appiattisce nel continuo rispecchiamento con la legge del Medesimo. Non è dunque un semplice scontro fra animali di differente taglia a essere qui rappresentato. Dal punto di vista della tartaruga, è piuttosto la lotta per l'affermazione di uno sguardo differente sul reale, o meglio sulla costituzione di ciò che viene definito come realtà o natura. Michel Foucault scriveva:

"l'ordine è, a un tempo, ciò che si dà nelle cose in quanto loro legge interna, il reticolo segreto attraverso cui queste, in qualche modo, si guardano a vicenda, e ciò che non esiste se non attraverso la griglia di uno sguardo, d'un attenzione, d'un linguaggio; soltanto nelle caselle bianche di tale quadrettatura esso può manifestarsi in profondità come già presente, in silenziosa attesa del momento in cui verrà enunciato"

(M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967, p.10).

Si sta cioè affermando che prima del linguaggio parlato, del linguaggio che enuncia attraverso la parola significativa, prende forma un linguaggio di gesti (di cui il gioco degli sguardi è solo una modalità) che, ordinando lo scambio fondato sulla dinamica pro-posta/ris-posta, consente di trovare già nel suo sostrato "ordinato" le corrispondenze biunivoche che garantiscono le corrispondenze di un linguaggio secondo (quello appunto che distingue le parole dalle cose).

Le "cose" sono viste e isolate attraverso questo linguaggio, solo perché precedentemente costituitesi in un rapporto di pratiche che ne hanno evidenziato il ruolo "funzionale" nella comunicazione. L'ordine della realtà, a discapito di ogni interpretazione classica che riconosce l'esistenza in sé delle cose, è invece frutto di un'operazione inizialmente cieca a se stessa (ma la categoria dell'iniziale, al pari dell'origine, è già un'attribuzione che possiamo fare dalla soglia del nostro linguaggio parlato), che costruisce il significato in funzione della validità del qui e dell'ora delle cose.

Improvvisamente il mondo in cui vive il leopardo perde di senso, perché i segni che ne attestano la verità vengono rimescolati quasi fossero semplici carte da gioco, lasciando che l'inquietudine di un quesito pericoloso, in quanto privo di risposta, alimenti un effetto di dispersione, di smarrimento, o ancor meglio di "spaesamento". La tartaruga ha rotto le corrispondenze del linguaggio primo, per quanto si ostini a parlare secondo rapporti precedentemente costituitisi: le sue parole sono ormai "vuotate" di significato. Hanno perso il loro sostrato referenziale.

In fondo, tutto questo è connaturato al concetto stesso di norma, che è appunto un concetto dinamico e polemico (G. Canguilhem, op. cit., p.204); la società è caratterizzata da un incessante processo di produzione delle norme, al fine di adattarsi ogni volta a questa esigenza di riassorbire ciò che tende a sottrarsi. E' ancora Canguilhem a scrivere:

"Il normale è dunque a un tempo l'estensione e l'esibizione della norma. Moltiplica la regola nello stesso tempo in cui la indica. Esige dunque fuori di sé, vicino a sé e contro di sé, tutto ciò che ancora gli sfugge"

(Ib., pp.203-204).

E' attraverso le trasgressioni, gli scarti, che si riconoscono le norme (cioè le "regole" in virtù delle quali si ordina il linguaggio) e che le stesse norme mutano; è a partire dall'infrazione che si può comprendere il normativo.

Fra lo sguardo codificato e la conoscenza riflessiva si apre una regione mediana che offre l'ordine nel suo stesso essere: la tartaruga sa bene che non serve far appello a frasi e proposizioni. La tartaruga produce tracce, o meglio singolarità che non si offrono ad alcuna costruzione linguistica regolare. Mancano di leggibilità, ma solo agli occhi del leopardo. Per lui non sono spiegabili. Non hanno senso. Forse perché parla solo attraverso la brutalità del potere. Ma c'è ben altro.

Essenziale, per l'inaugurazione di un linguaggio trasversale, risulta l'effetto di spaesamento:

"è lo spazio rarefatto (lo spazio di rarità) che permette questi movimenti, questi trasporti e tagli insoliti in una forma lacunosa e frammentaria"

(G. Deleuze, Foucault, Feltrinelli, Milano 1987, p.15).

La trascrizione della logica avviene nell'elemento della rarità e riguarda le regole del campo in cui le singolarità si dispongono: non rinviando ad alcun cogito preformato, ciò che conta è la "regolarità" dell'enunciato che scaturisce dall'effetto di cumulo. Si dispongono più singolarità, tracce, in attesa che sorga uno sguardo capace di riavvicinarle secondo linee vettoriali: "l'enunciato è la curva che unisce i punti singolari, il che significa che esso effettua o attualizza rapporti di forza in base a ordini di frequenza o vicinanza" (Ib, op. cit. p. 83). I punti singolari, le tracce, potrebbero allora essere definite, ricorrendo a un linguaggio caro a Foucault, il "fuori" dell'enunciato, l'irriducibile al pensiero logico, al pensiero del di dentro. Ma si offrono come "fuori" solo al leopardo; per la tartaruga non si tratta che di mero "esteriore", della disseminazione di concatenamenti destinati, prima o poi, ad essere attualizzati.

Tutto, in un certo senso, può essere significativo, perché tutto può cadere nella sfera della comunicazione gestuale. Il problema del suo significato, semmai, dipende dalla possibilità di "vedere" qualcosa in quanto partecipe o meno delle modalità pratiche di comunicazione.

"Ogni sapere va infatti da un visibile ad un enunciabile e viceversa, e tuttavia non c'è una forma comune totalizzante, e nemmeno conformità o corrispondenza biunivoca" (Ib. Op. cit., p.46). Di fronte alla violenza del gesto, viene opposto un segreto, affinché "il discorso si annulli nella sua realtà, ponendosi a disposizione del significante" (L'ordine del discorso, Einaudi, Torino 1970, p. 38): bisogna estrarre dalle cose la visibilità, poiché il segreto esiste solo per essere tradito. Il segreto consiste nel celare la costruzione del significato, nel non mostrare all'eventuale interlocutore quale sia la dinamica "pro-posta/ris-posta".

La muta speranza della tartaruga viene riposta nella visione delle tracce che ha lasciato: quanti più spettatori coglieranno i suoi segni, tanto maggiore sarà l'impressione generata ai loro occhi. In assenza di testimoni, la verità si costruirà a partire da una suggestione indotta, affinché trovi gradualmente conferma nella forza del numero. Occorre cioè esporsi al rischio dell'aperto e dell'incomprensibile, per poter trasgredire il dato, nel tentativo di generare un nuovo sguardo sulla medesima realtà.

Lo spingersi oltre il vedere ordinario rimanda alla legge della reversibilità:

"La reversibilità che definisce la carne esiste in altri campi, in essi è anzi incomparabilmente più agile, è capace d'intrecciare fra i corpi relazioni che, questa volta, non si limiteranno ad allargare, ma oltrepasseranno definitivamente il cerchio del visibile"

(M. Merleau-Ponty, Il visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano 1996, p. 160).

La scommessa di questo progetto non consiste allora nel risolvere la contraddizione a favore dell'una o dell'altra polarità, piuttosto si tratta di evidenziare l'elemento nomadico che transita fra di esse e che in questo movimento, in entrambe, produce incontrovertibili metamorfosi che ci aprono alla geografia del corpo-territorio mutante: la carne del vivente si innerva nella carne del territorio ed entrambi appaiono soggetti alla dimensione, alla necessità del "controllo".

"Al territorio mappato - scrive Tiziana Villani in Eterotopie (in M. Foucault, Spazi Altri, Mimesis Eterotopia, Milano 2001, p. 100) - descritto, cartografato, si sostituisce un territorio virtuale, videomostrato e pronto per essere sovrapposto al territorio materiale. In un certo senso, è questo il luogo reale della guerra: un territorio ipotizzato e poi applicato e un corpo-territorio che non cessa di dimostrare la sua complessità e che continua a sottrarsi e a rivelare nuove pieghe".

Il controllo è un'esigenza dettata dal significato, la garanzia che le corrispondenze biunivoche tracciate dall'abitudine non vengano spezzate, facendo perdere il senso del reale. Ma è evidente che questa operazione cerca di solidificare in eterno ciò che al contrario è in costante divenire. Il significato, staccato dal suo significante, dà l'illusione di essere "fuori" dal tempo e dunque "per sempre". Ma la sua validità è solo funzionale: così come una stessa parola può definire ciò che si è costituito attraverso gestualità differenti, altrettanto vario può essere il modo in cui l'uomo sceglie di comunicare la "posta", cioè ciò che è in gioco nella dinamica di scambi polarizzati fra future soggettività. Il significato è legato alla materialità delle circostanze in cui emerge, dunque potenzialmente deperibile e riattualizzabile.

Non c'è infatti un concatenamento per continuità, la garanzia assoluta di percorrere una strada obbligata che ci conduca a una medesima verità ultima, bensì un riconcatenamento al di sopra dei tagli effettuati sulla matrice del sapere. Si tratta di un appello a una teoria generale delle produzioni che deve confondersi con una pratica rivoluzionaria, in cui il discorso che agisce si forma nell'elemento del fuori, indifferente alla mia vita.

"La tartaruga si spense senza soffrire": muore senza dire una parola. Le formazioni discorsive, luoghi della verità, rimangono al di là di tutto pratiche mortali. "Come inscrizione di ciò che sarà detto, l'enunciato può formarsi solo in una molteplicità da costituire" (G. Deleuze, op. cit., p.15), in quanto è movimento d'archivio, effetto di cumulo, la cui positività, riposta infine nel "detto", non è mai immediatamente visibile.

E' un problema di soglia e di taglio: la verità degli enunciati emerge solo nel momento in cui si verifica un mutamento di sguardo. Diverso sarebbe stato assistere all'uccisione della tartaruga. Il segreto della sua strategia non avrebbe ingannato nessuno, dal momento che tutti avrebbero potuto vederne i meccanismi di messa in scena. Il teatro non è fatto di continuità, ma di atti e interruzioni. Diverso, tuttavia, è il risultato ottenuto grazie all'effetto di chiaro-scuro: le tracce postume di un combattimento, nel momento in cui divengono pubbliche, assumono una notevole valenza politica. Interdetti, esclusioni, limiti e trasgressioni si legano a una pratica discorsiva determinata da una visione incompleta, ove si pone innanzitutto il problema del taglio, della frattura. Non si è poi tanto lontani da quanto afferma Florinda Cambria in merito al teatro crudele di Antonin Artaud, quando riconosce "l'istanza del senso come senso inscritto nei propri segni di fuori, e l'aprirsi di un mondo come essere in presenza di un vuoto". La sfida lanciata alla legge della giungla, alla Legge in senso lato, è il "farla finita con il giudizio di dio".

"Giudizio di dio è quello ius dicere che «direttamente dice» ciò che è, ritagliandolo per differenza da ciò che non è e istituendo così essere e verità come unilateralmente orientati, cioè deprivati di quel margine di non essere e di errore da cui provengono e in cui non fanno che esplodere". "Farla finita col giudizio di dio significa allora attingere i modi dell'esposizione al farsi del senso"

(Florinda Cambria, Corpi all'opera, Jaka Book, Milano 2001, p. 179).

La scomparsa della tartaruga non segna un "riassorbimento" della devianza, dopo che questa ha astutamente tracciato una linea di esclusione. Se è pur vero che "norma e devianza dalla norma appaiono in qualche modo speculari, mostrando il loro essere relazionale e mai veramente assoluto" (Erika Panaccione, Introduzione allo studio di Michel Foucault, Il giardino dei pensieri, 2000), ciò non significa che "la devianza, oltre a scuotere e far tremare per un istante la struttura normativa, finisce per rientrare in quel suo circuito che le dà origine e, allo stesso tempo, si mostra persino funzionale a questa struttura nel suo complesso". Il mantenimento del segreto (tacere su qualcosa che è già accaduto) non permette alla Norma di chiudersi su se stessa. (segue 1.4)