Kulabob, il fratello ritrovato di Papua Nuova Guinea (1/7)

27.02.2022

Là dove le acque dell'Oceano Indiano annunciano il Pacifico, sospesa fra Indonesia e Australia, la seconda più grande isola del mondo porta inscritti i segni di un duplice destino...


L'isola dell'Uccello del Paradiso

Dal 1969, anno del controverso referendum Act of Free Choice, la metà occidentale colonizzata dagli olandesi è diventata provincia indonesiana col nome di West Papua, mentre la metà orientale ha ottenuto nel 1975 lo statuto indipendente di Reame del Commonwealth col nome di Papua Nuova Guinea, sottraendosi all'amministrazione diretta dell'Australia e del Regno Unito di Gran Bretagna.


Richieste del Movimento di Liberazione Unita

La consultazione popolare svoltasi fra il 14 luglio e il 2 agosto 1969, in realtà, coinvolse appena un migliaio di abitanti dell'ex territorio olandese, selezionati scrupolosamente dall'esercito indonesiano stanziato a presidio. Per le modalità restrittive in base alle quali fu indetta, è oggi conosciuta anche come Act of No Choice e gli attivisti papuani, raccolti in maggioranza nel movimento Free West Papua Campaign, continuano a domandarne una nuova indizione democratica, scontrandosi col ferreo diniego del governo di Jakarta. Scaduta nel 2020 la Legge Speciale per l'Autonomia in vigore da due decenni, Benny Wenda - il leader del Movimento di Liberazione Unita (ULMWP) - ha infatti richiesto ufficialmente di votare coinvolgendo l'Alto Commissario delle Nazioni Unite. A Michelle Bachelette è stata così sottoposta, il 25 gennaio 2019, una petizione firmata da oltre 1 milione 800mila abitanti di West Papua, nella quale sono stati denunciati anche crimini contro l'umanità e l'assassinio da parte delle truppe occupanti di oltre 500mila papuani. Come inevitabilmente avviene dai tempi della dipartita degli olandesi, né le istituzioni, né i governi internazionali paiono però disposti a mettere in crisi i rapporti politici con l'Indonesia, trattandosi di uno dei mercati più strategici del Sud-Est asiatico.

L'indipendenza condizionata del Commonwealth

Diversa, ma ancor più ambigua, la situazione nella metà orientale dell'isola, dove l'indipendenza degli abitanti della Papua Nuova Guinea è formalmente sancita dalla Costituzione adottata il 16 settembre 1975. Per quanto la sezione 1 della carta dei diritti si appelli alla definizione di "Stato sovrano, che ha il potere di governare sopra il proprio territorio libero da altro governo sovrano", mantenendosi all'interno del Commonwealth britannico e accettando giuridicamente la forma di governo della monarchia costituzionale, il sovrano a capo dello Stato non è il popolo papuano, bensì la Corona del Regno Unito: se è possibile parlare di indipendenza in riferimento alla gestione politica "interna", per quanto riguarda gli "affari esteri" il potere decisionale resta condizionato a quello del sovrano britannico.

Diritti indigeni

L'intera isola appare dunque normata a livello internazionale da codici giuridici di origine europea, senza che l'eredità delle comunità indigene sia presa davvero in considerazione: la percezione che queste hanno di sé in rapporto al territorio abitato, secondo lo storico del Pacifico Chris Ballard (Agricultural Intensification in New Guinea, 2001), risulta totalmente altra, basata sul diritto consuetudinario e su una tradizione culturale ben più antica di quella liberale europea. Per il Wellcome Trust Sanger Institute di Oxford e il Papua New Guinea Institute of Medical Research (Neolithic expansion, but strong genetic structure, in the independent history of New Guinea, 2017), le prime testimonianze di occupazione umana risalgono almeno a 50mila anni fa, ma i territori sommersi delle antiche piattaforme geologiche di Sunda (l'attuale Sud-Est Asiatico) e Sahul (il blocco che un tempo univa Papua, Australia e Tasmania) potrebbero conservare testimonianze molto più remote, per quanto difficilmente accessibili a causa dell'innalzamento del livello del mare fra i 18mila e i 10mila anni fa. Prendendo le mosse dalle tradizioni orali delle stesse popolazioni indigene, in particolare da quelle delle remote comunità australiane del Kimberley (Yorro Yorro, Magabala Books, 2017), conferme sono infatti arrivate dalla scoperta dei primi siti archeologici sottomarini di Sahul durante la campagna condotta nell'arcipelago di Dampier da Jonathan Benjamin, professore associato di Archeologia Marina presso la Flinders University di Adelaide, a cavallo fra il 2017 e il 2019.

Problemi di nomenclatura

Ciò nonostante i popoli papuasiatici restano divisi da confini delineatisi in secoli di tentato (e mai esauritosi) dominio politico straniero, a partire dal momento in cui l'isola fu raggiunta per la prima volta dagli europei nel XVI secolo. Il marinaio portoghese Antonio d'Arbau ne avvistò la costa nel 1511 e, per localizzare l'area, coniò l'espressione Ilha de Papo. Dieci anni più tardi, durante la prima circumnavigazione del mondo a opera di Ferdinando Magellano, l'isola venne di nuovo avvistata e identificata dal cronista di bordo Antonio Pigafetta col nome di Papua, come ricorda lo stesso nella sua epocale Relazione del primo viaggio intorno al mondo (1524). In realtà il vicentino avvista l'isola di Halmahera (chiamata all'epoca Giailolo), la maggiore delle Molucche, governata da tre potenti sovrani che vantavano diritti anche sull'isola di Papua, pochi chilometri a est di Halmahera. Questa sovrapposizione, dovuta all'estensione del termine Papua a tutti i domini dei "re" di Halmahera, risultò però determinante nel conferire al nome la sua autorevolezza geografica, dopo la pubblicazione in Europa della Relazione.

"Dinanzi a questa isola (Tidore, ndr) - scrive Pigafetta - ne è una grandissima, chiamata Giailolo, che è abitata da Mori e da Gentili. Se trovorono due re fra li Mori, sì come me disse il re (di Tidore, ndr), [che] uno aveva avuto seicento figliuoli, e l'altro cinquecento e venticinque. Li Gentili non teneno tante donne, nè viveno con tante superstizioni; ma adorano la prima cosa che vedono la mattina, quando escono fora de casa, per tutto quel giorno. Il re de questi Gentili, detto raià Papua, è ricchissimo de oro e abita dentro in la isola. In questa isola de Giailolo nascono sopra sassi vivi canne grosse come la gamba, piene de acqua molto buona da bere: ne compravamo assai da questi popoli".

Spettò però al portoghese don Jorge de Menetes metter piede per primo sull'affioramento settentrionale di Biak (una delle isolette più vicine a Papua e oggi inclusa nella sua provincia), dopo che nel 1526 una tempesta lo sorprese sulla rotta per le Molucche, costringendolo a trattenersi a terra. Proprio per questo motivo viene oggi considerato lo "scopritore" di Papua, alla quale si riferì fra l'altro con l'espressione Ilhas dos Papuas, ufficializzando a livello internazionale la nomenclatura riportata da Pigafetta.

In merito al nome, è possibile che i primi visitatori avessero udito nel vicino Sultanato di Tidore l'espressione Papa-Ua, usata nella lingua locale per indicare qualcosa di "non unito" e, in generale, per le isole diverse da Tidore. Alcuni linguisti e storici, fra cui Sollewijn Gelpe (On the origin of the name Papua, 1993), sostengono che derivi dall'espressione malese papuwah, indicante i "capelli ricci", caratteristica peculiare degli abitanti papuani rispetto alle etnie australoasiatiche (accomunate invece da capelli lisci). Solo più tardi, nel 1545, l'isola cominciò a essere chiamata anche Nueva Guinea, prendendo a riferimento l'espressione usata dal navigatore basco Yñigo Ortiz de Retez, colpito dalla somiglianza degli abitanti locali con quelli della Guinea in Africa. Dopo aver bordeggiato la costa settentrionale intervallata dai suoi tanti e piccoli affioramenti, l'esploratore al servizio della Corona spagnola sbarcò infatti nei pressi della foce del fiume Mamberano e prese ufficialmente possesso del territorio insulare col quel nome. Sarà l'inizio di un'ambiguità geografica che perdura tutt'oggi, dal momento che all'isola ci si riferisce con entrambi i nomi di "Papua" o "Nuova Guinea", a seconda dell'eredità culturale cui si fa riferimento.

Divisioni coloniali

Nei secoli successivi all'età d'oro delle esplorazioni, i portoghesi e gli spagnoli saranno sostituiti dagli olandesi prima, dai tedeschi e dagli inglesi poi, rivendicando parti di territorio con nomi di volta in volta diversi. Sul finire dell'Ottocento la situazione politica appariva quasi definita: gli olandesi occupavano ormai la metà occidentale dell'isola, mentre la restante era appannaggio dei tedeschi per quanto riguardava la costa Nord-Est (dal 1884, Deutsch-Neuguinea), degli inglesi a Sud-Est (dal 1884 British New Guinea, poi Papua dopo il trasferimento di gestione all'Australia col Papua Act del 1905). Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale le truppe australiane del Commonwealth britannico occuparono infine la colonia tedesca, ottenendone dalla Lega delle Nazione Unite il mandato di gestione attraverso il New Guinea Act del 1920 e, successivamente, dando vita al nucleo originario dell'attuale Stato indipendente grazie al Papua and New Guinea Act del 1949.

L'arrivo dei missionari

Gli anni coloniali saranno accompagnati da un'intensa penetrazione di comunità religiose occidentali, fra cui spicca anche il contributo del Seminario Lombardo per le Missioni Estere, poi Pime. Nell'aprile del 1852 partì infatti da Milano un piccolo gruppo di giovani leve: cinque preti appena ordinati, Paolo Reina (capogruppo), Carlo Salerio, Timoleone Raimondi, Angolo Ambrosoli e Giovanni Mazzucconi, oltre ai due catechisti Giovanni Corti e Luigi Tacchini. Raggiunsero dapprima Sydney in Australia, quindi il 9 ottobre sbarcarono sull'isoletta di Woodlark, a Sud-Est della non ancora Nuova Guinea Britannica. Il gruppo si divise poi in due, con quattro fratelli destinati a operare anche sul piccolo affioramento di Rook.

I giovani missionari si trattennero per circa 33 mesi, sino al maggio 1855, ottenendo limitati risultati in termini di adesione al credo cristiano, debilitandosi pesantemente e, soprattutto, perdendo in condizione tragiche sia padre Corti (a causa delle febbri malariche), sia padre Mazzucconi, assassinato dagli isolani di Woodlark. Le loro testimonianze dirette sono oggi custodite negli archivi del Pime e sono state alla base di uno studio specifico pubblicato dall'antropologa Elisabetta Gnecchi Ruscone su The Journal of Pacific History nel 2012, col titolo "A School of Iron, Vexation and Blood, but a School Nonetheless".

Un'isola a rischio

Con le prime relazioni dell'Ottocento, l'isola di Papua lascia affiorare già quelle criticità che la rendono oggi uno degli ecosistemi mondiali più a rischio. Levandosi dalla catena vulcanica conosciuta come Ring of Fire - un immenso arco di 40mila km che si snoda dall'estremità meridionale dell'America Latina alla Nuova Zelanda lambendo le coste dell'America del Nord, dello Stretto di Bering e tutto il fronte geografico dell'Estremo Oriente - negli ultimi due secoli ha visto acuirsi in devastazione sia il numero di terremoti che di tsunami.

Le sue ricche risorse minerarie, unite alla terza più estesa foresta primaria al mondo (63% di PNG, per 28.210.000 ettari, 95% di Papua, per 42.224.840 ettari - dati FAO 2020), accendono inoltre scontri sempre più violenti fra tribù indigene, governi e multinazionali.

Almeno sino al giorno in cui - narra un mito papuano - non torneranno a riabbracciarsi due fratelli divisi da un tragico fato.