In principio erano Due Fratelli (2/7)

27.02.2022

Presente in una vastissima area del pianeta che si stende dal Pacifico Orientale al Mediterraneo Occidentale, il mito dei Due Fratelli è la storia di fondazione più importante in Papua Nuova Guinea, ma solo lungo la costa settentrionale. Un'anomalia che risospinge alle origini umane della civiltà...

La costa settentrionale della Nuova Guinea è temuta e venerata al tempo stesso. Peculiarità che ha indotto il biologo Stephen Oppenheimer, autore del saggio Eden in the East (Weidenfeld and Nicolson, 1998), a elaborare una teoria sull'origine della civilizzazione umana confermata da evidenze sempre maggiori.

Come ebbe a scrivere l'etnologa Hertha von Dechen, coautrice insieme a Giorgio de Santillana della fondamentale opera Il Mulino di Amleto (Adelphi, 2003), il mito è "quel gigantesco orologio che forma il cosmo arcaico e che è stato interpretato - più precisamente: definito - come un mulino che macina il tempo, seppur non già come un mulino moderno a rotazione continua, bensì come un mulino a movimento alternato, un apparecchio paragonabile a un trapano e che un tempo è appartenuto ad Amleto".

Caino e Abele in Israele, Seth e Osiride in Egitto, Emesh ed Enten in Mesopotamia, Atreo e Tieste in Grecia, così come Mente Buona e Mente Cattiva fra gli Irochesi del Nord America, o anche Toobo e Vaca-acow-ooli a Tonga, sono fra le storie più note che ben lasciano emergere il tema originario della rivalità fra fratelli, fondendolo con narrazioni ancor più antiche inerenti l'Albero della Vita e il Grande Diluvio. Cinque, per Stephen Oppenheimer, sono i motivi ricorrenti nella matrice di questo antichissimo mito: la differenza d'età fra fratello maggiore e minore, il tentato fratricidio, la differenza nei metodi di produzione del cibo, la competitività sessuale, la presenza di un potente spirito capace di rigenerarsi attraverso una pianta.

"Gli antropologi cominciano ora a chiedersi - evidenziava alla fine degli anni '90 del secolo scorso il ricercatore inglese (op. cit., p.441) - se la storia dei due fratelli, nella miriade di forme in cui è stata tramandata, non rappresenti in realtà il relitto storico di uno scontro fra culture, anziché il profondo istinto di rivalità fra consanguinei".

Mito o storia?

Nella versione degli abitanti dell'area di Madang, provincia nord-orientale della Papua Nuova Guinea, tutto avrebbe avuto inizio dal lancio errato di una freccia contro l'Uccello del Paradiso da parte dell'abile Kulabob, figlio più giovane della prima coppia umana creata dal dio Anu(t). Alto e di pelle più chiara rispetto al fratello maggiore Manu(p), Kulabob possiede inoltre grandi abilità tecniche: sa costruire canoe capaci di solcare persino le acque dei mari, è un pescatore molto ingegnoso, conosce i misteri della semina e l'arte di produrre i vasi, ma è anche il primo a usare i tatuaggi e le danze magiche. Al contrario, Manu(p) appare fisicamente più massiccio e scuro, sua responsabilità è far riconoscere la Legge e stabilire i costumi, mentre l'attività principale da lui svolta è legata alla terra e riguarda la caccia. A differenza del fratello minore, ha fra l'altro una moglie e un figlio. Non a caso, all'origine della rivalità.

Quando una freccia di Kulabob cade vicino alla compagna di Manu(p), viene da questa raccolta e ammirata per la sua straordinaria fattura, tanto da indurre la donna a chiedere la riproduzione dello stesso intaglio decorativo sul proprio corpo: un mak (segno, tatuaggio) all'altezza dei propri genitali. Intimidito e timoroso di offendere il fratello, Kulabob inizialmente rifiuta, ma la donna lo convince dicendo che sarà lei ad assumersi la responsabilità del gesto. Lasciato il mak sul corpo della moglie di Manu(p), viene quindi ripulito il sangue con una foglia che le onde sospingono proprio dal fratello. Allarmato alla vista di quel presagio e tornato rapidamente a riva, dove la moglie lo aiuta a mettere in secca la canoa, Manu(p) scopre che il sangue sulla foglia appartiene proprio a lei, quando inavvertitamente le scivola a terra il gonnellino. Riproduce allora il mak su un pezzo di legno e si lancia infuriato per ogni dove alla ricerca dell'originale, individuando infine il responsabile in Kulabob. Attraverso il bastone che porta inciso il mak, Manu(p) prova a uccidere il fratello, il quale riesce però a sottrarsi ai colpi trasformandosi in topo e a scappare. Muta di nuovo forma in una lucertola e trova infine rifugio sull'albero Ngaul, che viene abbattuto senza remore da Manu(p).

Per Ngaul si intende nel Pacifico una pianta del genere Mitragyna, appartenente alla famiglia delle Rubiaceae e ricca di alcaloidi, di cui alcuni con effetti antimalarici e analgesici. Miracolosamente l'albero continua infatti a rigenerarsi, ma il fratello maggiore non desiste dalla furia del taglio distruttivo, riuscendo a far precipitare Kulabob in mare.

La fuga

A quel punto, il trasgressore capisce di non avere altra scelta che emigrare e trasforma il tronco galleggiante in una grande canoa, mentre i rami in barche di minori dimensioni. Queste serviranno a ospitare una stirpe di uomini dalla pelle più chiara insieme alla quale si metterà in viaggio, portando inoltre con sé maiali, cani, pollame, piante da frutto e artefatti. Forzata dall'imminente pericolo di un'eruzione vulcanica a ovest, la comitiva muove in direzione est. Manu(p) prova a sua volta a costruire una grande canoa nel tentativo di catturare il fratello, ma la sua imbarcazione affonda quasi subito e lo costringe a riparare a terra, dove inizierà però a patire periodi di fame.

Al contrario, Kulabob si apre la via a oriente scagliando frecce verso la costa, grazie alle quali crea il frastagliato arcipelago di isolette coralline che oggi corrono da Madang a Sek. Per ogni villaggio che fonda a est della costa di Rai, Kulabob lascia poi un uomo a riva trasmettendogli il potere della parola, consegnandogli piante fruttifere, un arco e le frecce, diversi tipi di asce, la pioggia e il potere di evocarla. In alcune versioni del mito, inoltre, offre la scelta fra una tecnologia più evoluta o quella più semplice appartenente a cacciatori-raccoglitori come il fratello.

La saga

Tracce dello stessa narrazione sono via via riaffiorate lungo buona parte della costa orientale di Papua Nuova Guinea, includendo non solo le isolette di Arop e Siassi, ma addirittura la Nuova Britannia. Sebbene il nome del protagonista principale tenda gradualmente a mutare, l'antropologa Alice Pomponio (Children of Kilibob, Pacific Studies, Vol.17, n.4, 1991) ha mostrato come il mito originario sia riuscito a dar vita a una vera e propria saga basata sulle avventure adultere del fratello minore e dei suoi figli dalla pelle chiara. In un arco di 160 chilometri rispetto all'area originaria di Madang, anche la struttura narrativa inizia però a subire piccole variazioni, raccontando ad esempio di tre fratelli anziché due, di una sorella violata anziché di una moglie, o della sostituzione in fico dell'albero Ngaul, su cui Kulabob trova inizialmente riparo e con cui tende poi a identificarsi.

La prua antropomorfa

Un esempio emblematico riguarda le incisioni realizzate sulla prua delle canoe fra la cittadina di Alotau e le isole Trobriant, poco più a est della "coda" di Papua Nuova Guinea. Al di sopra del tradizionale gum, il punto centrale del motivo a spirale che domina la prua, appaiono spesso tre figure antropomorfe chiamate bwalai. Diversi ricercatori sostengono si tratti di un'alterazione tipica del popolo Massim della tradizionale coppia antropomorfa (la cui differenza di pelle viene evidenziata spesso dalla disposizione chiastica di riquadri color rosso e bianco). Associati a spiriti protettori, i bwalai divengono qui tre per esprimere, forse, il concetto di trinità cristiana. "Queste immagini comprendono azioni, genealogie e cosmologie - chiarisce Sergio Jarillo in un suo saggio per il Journal of the Royal Anthropological Institute (How Malinowski sailed he Midnight Sun: the academic conference as ethnographic performance, 2021) - e tracciano associazioni fra attori Massim umani e non umani, tra viventi e loro antenati. Una volta visualizzate e viste dal pubblico, queste tre immagini sono state rifuse per creare nuove immagini". Una pista di indizi che, nelle sue vaste ramificazioni a oriente e occidente, conferma la "potenza vivente" che gli antichi riconoscevano al mythos (la parola narrativa) rispetto al logos (la parola razionale).